Giornate Fai di Primavera 2025
Oggi, 22 marzo, e domani, 23 marzo partono le Giornate Fai di Primavera 2025. Sono il più importante evento di piazza dedicato al patrimonio culturale e paesaggistico d’Italia e alle storie inedite e inaspettate che custodisce con visite a contributo in 750 luoghi speciali in 400 città, dai grandi capoluoghi ai piccoli comuni, dai centri storici alle province, da Nord a Sud della Penisola. Un’occasione speciale per fare una gita in famiglia e poter visitare parchi e giardini storici, riserve naturali e oasi, monumenti storici.
Queste Giornate Fai di Primavera 2025 sono speciali: si celebrano i 50 anni del Fondo per l’Ambiente Italiano. Nei vari siti le visite saranno a contributo libero, e sono rese possibili da migliaia di volontari FAI e di giovani che svolgono iil ruolo di ‘ciceroni’. La mappa dei luoghi è infinita: include ville e magnifici storici da mille e una notte. Qualche esempio? A Roma si potrà visitare il palazzo costruito per Alessandro Farnese, oggi sede dell’Ambasciata di Francia. E ancora apertura eccezionale anche a Palazzo del Collegio Romano, che dal 1975 ospita il Ministero della Cultura.
Per le Giornate Fai di Primavera 2025 a Milano si potrà accedere alla Torre Libeskind, il grattacielo progettato da Daniel Libeskind a CityLife, e anche a Palazzo Clerici, dimora affrescata dal Tiepolo. A Napoli, si potrà vedere Villa Rosebery, una delle tre residenze ufficiali del Presidente della Repubblica italiana, sulla collina di Posillipo. E così via. Non sprecate un’occasione così importante: andate con i vostri figli a vedere le meraviglie del bel Paese
Bambini: mal di primavera
Ci risiamo, oggi è arrivata la stagione più attesa dell’anno. E per i bambini, almeno alcuni di loro, si ripresenta il mal di primavera. Cos’è?
Il mal di primavera colpisce non solo i bambini. Anche noi adulti ne siamo soggetti. le giornate si allungano e la luce solare è più forte e duratura. Il corpo deve adattarsi dilatando i vasi sanguigni e modulando la pressione. Questo perché in inverno il freddo rallenta il metabolismo. L’incremento della produzione di melatonina, che è l’ormone del sonno, accentua, quindi la necessità di dormire.
I sintomi del mal di primavera che possiamo riscontrare nei nostri bambini sono stanchezza, difficoltà di concentrazione, irritabilità, mal di testa, sensibilità ai cambiamenti del tempo. Può esserci anche una velata malinconia nei loro occhi. I piccoli mangiano di meno e vogliono più dolci.
I rimedi sono semplici: far trascorrere ai bimbi più tempo fuori, così da avere una bella iniezione di luce solare, che stimola la seratonina. I nostri figli devono consumare frutta e verdura fresca, bere tanta acqua e mangiare in modo adeguato cibi ricchi di vitamine come:
- Uova e carni bianche (vitamina B12);
- Cereali, fagioli e verdure a foglia verde (vitamine B1 e B2);
- Banane e carne di maiale, (vitamina B6);
- Piselli, arance e funghi (vitamina B9);
- Patate (vitamina B1, C e D);
- Spinaci (per l’apporto di ferro, potassio e magnesio).
Cosa dire a un bimbo in sovrappeso
Se nostro figlio mangia troppo cosa fare? Cosa dire a un bimbo in sovrappeso? Il Gruppo di Studio Adolescenza della Società Italiana di Pediatri, coordinato da Vita Cupertino e Rita Tanas, ha realizzato una guida per supportare le famiglie nel dialogo con i bambini e i ragazzi in sovrappeso tra i 4 e i 14 anni.
A volte è complicato capire cosa dire a un bimbo in sovrappeso, senza che si sente offeso o discriminato. Ecco perché è importante agire con empatia e delicatezza, tatto.
Ecco qui cosa dire a un bimbo in sovrappeso, alcuni dei consigli della guida SIP “Parlare di peso con tuo figlio”:
- Evitare di deridere, anche se in modo affettuoso o giocoso, il bambino. Frasi come “Basta mangiare, non vedi che pancia hai?”, “Tra un po’ scoppi”, “Non stai più nei pantaloni” feriscono anche se in apparenza sembrano ben tollerate.
- Incentivare la comunicazione con frasi che stimolino l’adozione di sane abitudini (es. “Mi piace parlare con te a tavola, spegniamo la tv?”, “Che bella passeggiata, mi fa stare meglio, anche a te?”, “Scegliamo insieme la merenda?”).
- Essere uniti e coerenti. Decidete delle regole per condividere il momento dei pasti in modo sereno. Un’ottima abitudine è iniziare il pasto con delle verdure e, da bere, solo acqua.
- Iniziare la conversazione sul cibo gradualmente, in modo “naturale”, commentando una pubblicità in tv, mentre si fa la spesa o cucinando insieme. Valgono di più semplici scambi di opinione quotidiani che un “grande” discorso.
- Coinvolgere i bambini nella conversazione, chiedendo loro cosa ne pensano, come vivono di fronte a certe esperienze con il cibo, li aiuta a esprimersi e a maturare nuove consapevolezze.
- Non avere paura di parlare di peso, ma meglio focalizzarsi su “crescita”, “salute”, “benessere”. Se tuo figlio chiede informazioni sul suo peso o taglia, o su quella di qualcun altro, se dà della “balena”, del “ciccione” a qualcuno, è un’occasione per iniziare a parlare.
- Se pensi che tuo figlio sia preoccupato o imbarazzato per la sua corporatura, trova un momento tranquillo in cui, facendogli delle domande aperte (evitando quelle con risposte si/no) tipo “Cosa ne pensi di…?”, “Sei preoccupato…”?, spieghi che il valore di una persona non passa dal peso e che può contare su di te. L’importante è non spingerlo a parlare se non è a suo agio.
- I bambini si devono sentire liberi di parlare e gli adulti non devono sempre avere una risposta, si può anche dire “Non lo so proviamo a leggere, parliamone con il pediatra”.
- Se l’eccesso ponderale è un problema famigliare, evita di parlare di diete e di malattie legate all’eccesso di peso e sii di buon esempio
Disturbi alimentari: nello sport colpiscono il doppio
Dobbiamo stare sempre all’erta con i nostri bambini. I disturbi alimentari, come già detto, sono in vertiginoso aumento tra i più piccoli, con sintomi sempre più in età precoce. Sappiate anche che nello sport colpiscono il doppio. Come sottolineato dai dati di Fondazione Maria Bianca Corno, che promuove la Settimana Lilla, che si conclude domani, 15 marzo, al primo posto c’è la bulimia, seguita dall’anoressia. A seguire il Binge Eating disorder e gli EDNOS, i disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati, tra cui la vigoressia e l’ortoressia.
Nello sport i disturbi alimentari colpiscono il doppio. Laura Dalla Ragione lo chiarisce al Corriere della Sera. la psichiatra e direttrice della Rete di servizi sui DNA dell’Usl Umbria 1 e del Campus Biomedico di Roma spiega: “Le performance sportive sono diventate un momento di difficoltà per tantissimi giovani. L’incidenza di DNA è appunto doppia a parità di età e genere, ci sono moltissime ricerche che lo confermano. Lo sport, che è una cosa meravigliosa, per alcuni può diventare un fattore di rischio di disturbi alimentari”.
“Nello sport (specie in alcune discipline) spesso il problema scatenante è l’obbligo di mantenersi entro un certo peso per poter accedere alle gare – precisa la specialista –. Ma spesso il ragazzo o la ragazza che fanno attività sportiva hanno fame e non riescono a trattenersi come vorrebbero, così, per mantenere il peso, usano metodi di compensazione propri della bulimia, come il vomito autoindotto, i lassativi, i diuretici. E la bulimia non è meno rischiosa per la salute: può portare a squilibri elettrolitici dovuti all’azione del vomitare più volte al giorno. Se si abbassa la quota di potassio nel corpo si può anche arrivare a un arresto cardiocircolatorio”.
E’ evidente che i disturbi alimentari nello sport colpiscono il doppio, ma quali sono le discipline più a rischio? “Danza, ginnastica artistica, pattinaggio. In generale le discipline dove bisogna mantenere un certo tipo di corpo, un certo tipo di peso”.
“Il mondo della danza più di tutte le discipline è a rischio perché è fuori dal Coni, non ha una Federazione, quindi, non c’è alcun tipo di controllo o normativa. Nella danza è diffusa la cosiddetta “triade dell’atleta”: associazione di un disordine alimentare, di amenorrea e osteoporosi. C’è un’incidenza nelle ballerine professioniste del 30% circa. La perdita delle mestruazioni può determinare conseguenze, oltre che cliniche, anche psicologiche e l’impossibilità di raggiungere un peso ‘normale’ in adolescenza può comportare ripercussioni sull’accrescimento osseo”, aggiunge.
Fate attenzione e vigilate, se vi accorgete che qualcosa non va, intervenite immediatamente con i vostri figli.
Disturbi alimentari: primi sintomi già a 8 o 9 anni
I primi sintomi dei disturbi alimentari compaiono già a 8 o 9 anni. E’ pazzesco, ma è così. Le diagnosi in merito sono aumentate del 64%. I dati che arrivano tra i bambini sono più che allarmanti.
Sul Corriere della Sera si legge che le diagnosi annuali all’ospedale Pediatrico Bambino Gesù per quel che riguarda i disturbi alimentari tra i bambini sono aumentate del 64% rispetto al 2019 ultimo anno prima della pandemia di Covid 19. Nella categoria DNA (disturbi della nutrizione e dell’alimentazione) rientrano anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbo da alimentazione incontrollata, disturbo evitante-restrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID) e disturbi alimentari non altrimenti specificati (NAS). Secondo il Ministero della Salute a livello nazionale questa, che è una vera emergenza, ha toccato +35%. I primi sintomi sin da giovanissimi: già a 8 o 9 anni.
“I dati raccolti negli ultimi anni evidenziano un aumento dell’incidenza dei disturbi alimentari in età pediatrica e adolescenziale”, commenta Valeria Zanna, responsabile dell’Unità operativa semplice di Anoressia e Disturbi Alimentari dell’Ospedale.
Tra le cause dei primi sintomi, che arrivano già a 8 o 9 anni, l’abbassamento dell’età puberale delle bambine e i social network, sempre più diffusi tra i piccoli, che impongono modelli sbagliati.
“Negli ultimi anni, i pazienti più giovani presentano quadri psicopatologici più gravi, sia per la sintomatologia alimentare che per le caratteristiche psicologiche associate. Inoltre, i nuclei familiari di questi pazienti risultano più sofferenti, con difficoltà comunicative, una maggiore fragilità emotiva e un funzionamento complessivo compromesso”, sottolinea ancora l’esperta.
Bambini: giochi che aiutano a crescere
Non genitori siamo apprensivi, spesso non vogliamo che i nostri figli si facciano male, ma ci sono giochi che aiutano a crescere. I bambini devono sperimentare all’aria aperta, come del resto facevamo noi un tempo: arrampicarsi, muoversi liberamente. Certo: gli adulti devono controllare. E’ naturale. E, nel caso, intervenire.
Dei giochi che aiutano a crescere i bambini ne parla un articolo su Nature. Servono proprio da percorso formativo. “Un bambino che impara a gestire piccoli rischi, sempre commisurati all’età e alle sue competenze, affina una capacità che in termini più generali si chiama resilienza, ovvero quell’insieme di caratteristiche costituzionali, innate o acquisite, che permettono ad ognuno di noi di reagire in modo adattivo alle difficoltà”, spiega Elisa Fazzi al Corriere della Sera.
Il presidente della Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, ne è certa. Direttore dell’Unità di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza all’ASST Spedali Civili di Brescia, aggiunge: “Imparare a gestire piccoli rischi, aiuta poi a sviluppare anche altre competenze come la capacità di prendere decisioni e la fiducia in sé stesso. Esplorando situazioni nuove, il bambino migliora anche la modulazione e il controllo delle emozioni, la capacità di affrontare la frustrazione, la paura o l’incertezza e acquisisce una maggiore autonomia”.
“L’abilità del genitore sta nel proporre esperienze che richiedano la motivazione, l’impegno e un po’ di sforzo da parte del bambino. Ma che nello stesso tempo siano alla sua portata e non troppo difficili. Come imparare a camminare, a salire e scendere le scale, a correre, ad andare in bicicletta, a nuotare e così via – continua –. E il genitore deve essere capace di essere presente, di accompagnare il figlio con la presenza, l’incoraggiamento, ma senza sostituirsi completamente a lui e senza risolvergli sempre il problema anticipandone i bisogni e dandogli come si dice ‘la pappa pronta’”.
Non dobbiamo avere paura dei giochi che aiutano a crescere i nostri bambini: è sbagliatissimo essere genitori iperprotettivi.
Linee per la fotoprotezione in età pediatrica
La World Health Academy of Dermatology and Pediatrics (WHAD&P), associazione senza fine di lucro, ha riunito a Roma, presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi, un panel di esperti dermatologi e pediatri internazionali. Tutto per fare chiarezza sulla fotoprotezione pediatrica. Ha realizzato un documento condiviso: “Linee di indirizzo per la fotoprotezione in età pediatrica”. Questo, sulla base delle più recenti evidenze scientifiche, presenta un approccio globale, con gli stili di vita da seguire e i filtri da usare, per garantire efficacia e sicurezza.
Quali sono le linee di indirizzo per la fotoprotezione in età pediatrica? Noi genitori dovremmo conoscerle a fondo, per salvaguardare i nostri figli durante l’esposizione al sole.
Ecco qui di seguito le linee di indirizzo per la fotoprotezione in età pediatrica:
• L’esposizione al sole va considerata necessaria per la produzione di vitamina D. Una carenza di Vitamina D si riscontra in Italia e in Europa nel 40-50% della popolazione in età compresa fra 0 e 18 anni. La vitamina D necessaria viene prodotta per l’80% dalla pelle dopo esposizione al sole. L’introduzione con gli alimenti incide solo per il 20% e di questo solo il 40% risulta biodisponibile. Per una produzione ottimale di vitamina D è stato calcolato che sono sufficienti 15 minuti di esposizione al sole del viso e degli arti. Questo sia in estate, che in inverno, 2 o 3 volte alla settimana, non nelle ore centrali del giorno.
• L’incongrua esposizione al sole, specie in età pediatrica, è certamente responsabile non solo dell’invecchiamento cutaneo precoce, ma soprattutto di gravi danni alla salute quali l’insorgenza di carcinomi cutanei (causata dal danno solare cumulativo) e di melanoma cutaneo (causato da ustioni solari ripetute) in soggetti geneticamente predisposti.
- Per prevenire i tumori cutanei (carcinomi e melanoma) occorre:
a) identificare i soggetti a maggiore rischio
b)adottare adeguate misure di fotoprotezione finalizzate a prevenire le ustioni solari e limitare la quantità di raggi ultravioletti che raggiungono la pelle nel corso dell’intera vita
c) seguire una dieta ricca di alimenti contenenti antiossidanti (Vitamine C, E, A / Zinco, Selenio, Rame / Polifenoli e Flavonoidi / Carotenoidi / Probiotici).
• La fotoprotezione, specie in età pediatrica, è indispensabile e non può limitarsi alla semplice applicazione di creme solari. E’ una pratica articolata che richiede soprattutto misure protettive non farmacologiche e adeguati stili di vita. Per questo si accolgono le indicazioni contenute nel documento del Gruppo Fotoprotezione della FIMP, denominato COCCO.
• In merito alla potenziale tossicità dei filtri solari, si condividono le preoccupazioni espresse da numerosi e autorevoli autori e da associazioni pediatriche. Molti filtri organici (filtri chimici) contengono sostanze che possono essere assorbite dall’organismo. Producono danni alla salute umana (interferenza endocrina, stimolo della formazione di carcinomi, reazioni allergiche) e possono risultare nocive per l’ambiente marino.
Cautelativamente si consiglia di preferire sempre prodotti solari contenenti molecole inorganiche, soprattutto Ossido di Zinco, stabile e ad ampio spettro, ma non formulato in nanoparticelle o nebulizzato. Possibilmente associato a sostanze naturali con proprietà antiossidanti e immunostimolanti. Si auspica che le autorità sanitarie, italiane ed europee, possano bandire l’impiego delle molecole incriminate e più in generale possano considerare i filtri solari, similmente a quanto avviene negli USA, farmaci e non cosmetici.
• Prima dei 6 mesi di vita i bambini non dovrebbero essere esposti intenzionalmente al sole. Nel caso in cui l’esposizione, anche indiretta, sia inevitabile, si raccomanda di utilizzare indumenti protettivi ed eventualmente applicare creme solari con filtri inorganici.
• In generale, tutti i bambini, quando possibile, dovrebbero soggiornare al riparo dal sole.
• In caso di attività ricreative all’aperto, si dovrebbero utilizzate indumenti protettivi, preferibilmente di colore scuro (i colori scuri riparano più di quelli chiari, i tessuti asciutti più di quelli bagnati). E a trama fitta (denim, poliestere, cotone + poliestere). Meglio ancora indumenti tecnici (Ultraviolet Protection Factor – UPF). È necessario indossare sempre un cappello, meglio se a falde larghe per proteggere anche la parte posteriore del collo e delle orecchie, che resterebbero scoperte con i berretti con visiera. E, quando possibile e se il bambino è consenziente, usate occhiali da sole, perché anche gli occhi possono risentire negativamente dell’esposizione solare prolungata (CE UV 100% o 100 UV 400 nm).
• Quando non si è vestiti è necessario esporsi sempre con gradualità per lasciare alla pelle il tempo di produrre la melanina, che rappresenta una difesa naturale dai raggi solari.
• Evitare di esporsi nelle ore centrali del giorno (dalle 11 alle 16) e nelle altre ore della giornata, alternare esposizioni brevi a periodi di non esposizione.
• In alcune circostanze (attività ricreative all’aperto, soggiorno in spiaggia durante la stagione estiva ecc.), i filtri e gli schermi solari risultano necessari, specie per i bambini con carnagione molto chiara, per evitare le scottature e limitare la quantità di UV che penetrano nella pelle. In tal caso si raccomanda di preferire creme solari contenenti Ossido di Zinco. La quantità giusta è di 2 mg per cm² di superficie corporea (circa 10-15 ml per un bambino di 5 anni), da applicare 30 minuti prima dell’esposizione e da ripetere ogni due ore e dopo il bagno.
• Si raccomanda di evitare prodotti contenenti profumi, preferendo formulazioni resistenti all’acqua (water resistent).
• Se possibile, verificare che il prodotto sia biodegradabile e che il packaging sia eco- sostenibile.
• L’uso della crema solare non deve generare un falso senso di sicurezza. E così indurre ad aumentare i tempi di esposizione. L’arrossamento cutaneo e la sensazione di bruciore che lo accompagna sono i campanelli di allarme estremi. Annunciano che si è superato il limite di sopportazione della propria pelle in quelle condizioni ambientali.
• Alcune malattie dermatologiche (vitiligine, psoriasi, dermatite atopica ecc.) possono beneficiare della esposizione alla luce del sole o di emittenti artificiali. Per la elioterapia si rimanda a quanto indicato sopra. In merito alla fototerapia, consigliata solo dopo i 16 anni di età, si indicano come prioritarie la fototerapia selettiva con UVB-NB (UVB 311 nm. Il laser a eccimeri e UVA-1 355 nm per la vitiligine. UVB-NB e UVA-1 per tutte le altre patologie. La fotochemioterapia (PUVA) è considerata una procedura di secondo livello, da adottare solo in caso di mancato beneficio con le precedenti.
Filtri solari: rischi per bambini e donne in gravidanza
I filtri solari devono seguire linee di indirizzo. Ci sono rischi per bambini e donne in gravidanza. Dermatologi e Pediatri della WHAD&P fanno chiarezza sulla fotoprotezione pediatrica.
Si è molto discusso sui filtri solari e i possibili rischi per bambini e donne in gravidanza. In un panel a Roma gli esperti cercano di dissipare i dubbi. Il mondo dermatologico e pediatrico da tempo sta rivolgendo sempre maggiore attenzione al tema cruciale della fotoprotezione. L’esposizione alla luce solare ha indiscutibilmente effetti salutari per il nostro organismo (basti pensare alla produzione della vitamina D) e ciò anche nell’età pediatrica. Tuttavia, è fondamentale esporsi al sole in modo prudente, sia per gli adulti, ma soprattutto per i bambini, perché i danni provocati dal sole possono influire sulla loro salute da grandi.
La radiazione ultravioletta è responsabile non solo di potenziali danni cutanei acuti, quali l’ustione solare e le fotodermatiti, ma anche e soprattutto di danni a lungo termine, come l’insorgenza di tumori cutanei e il photoaging. Il melanoma cutaneo, in particolare, sembra più facilmente correlato alle esposizioni intense e intermittenti che spesso causano ustioni solari, soprattutto a quelle avvenute nell’età pediatrica.
I bambini, infatti, sono più suscettibili sia alle scottature solari, che ai danni a lungo termine, poiché le loro difese naturali sono meno efficienti, la pelle è più sottile e la melanina meno rappresentata. È stato calcolato che all’età di 20 anni ogni individuo ha ricevuto dal 40 al 50% del totale di radiazione ultravioletta raggiunto all’età di 60 anni. Ciò fa comprendere meglio quanto sia importante la fotoprotezione in età pediatrica, specie per i bambini di pelle più chiara.
La World Health Academy of Dermatology and Pediatrics (WHAD&P) ha riunito a Roma, presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi, un panel di esperti dermatologi e pediatri internazionali, per fare chiarezza sulla fotoprotezione pediatrica ed ha realizzato un documento condiviso “Linee di indirizzo per la fotoprotezione in età pediatrica”. Sulla base delle più recenti evidenze scientifiche, questo presenta un approccio globale, con gli stili di vita da seguire e i filtri da usare, per garantire efficacia e sicurezza.
Per una protezione corretta ed efficace e per prevenire i tumori cutanei (carcinomi e melanoma) occorre tenere presente alcuni punti cardine:
identificare i soggetti a maggiore rischio;
adottare adeguate misure di fotoprotezione finalizzate a prevenire le ustioni solari e limitare la quantità di raggi ultravioletti che raggiungono la pelle nel corso dell’intera vita;
seguire una dieta ricca di alimenti contenenti antiossidanti (Vitamine C, E, A / Zinco, Selenio, Rame / Polifenoli e Flavonoidi / Carotenoidi / Probiotici).
La fotoprotezione, specie in età pediatrica, è indispensabile e non può limitarsi alla semplice applicazione di creme solari, ma è una pratica articolata, che richiede soprattutto misure protettive non farmacologiche e adeguati stili di vita.
Il panel di esperti condivide le preoccupazioni relative alla potenziale tossicità dei filtri solari, già espresse da numerosi e autorevoli autori e da associazioni pediatriche. Molti filtri organici (filtri chimici) contengono sostanze che possono essere assorbite dall’organismo, producendo danni alla salute umana (interferenza endocrina, stimolo della formazione di carcinomi, reazioni allergiche) e possono risultare nocive per l’ambiente marino. Ci sono rischi per bambnini e donne in gravidanza.
Cautelativamente si consiglia di preferire sempre prodotti solari contenenti molecole inorganiche, soprattutto Ossido di Zinco, stabile e ad ampio spettro, possibilmente non formulato in nanoparticelle o nebulizzato, possibilmente associato a sostanze naturali con proprietà antiossidanti e immunostimolanti. Si auspica che le autorità sanitarie, italiane ed europee, possano cautelativamente bandire l’impiego delle molecole incriminate e più in generale possano considerare i filtri solari, similmente a quanto avviene negli USA, farmaci e non cosmetici.
Prima dei 6 mesi di vita, i bambini non dovrebbero essere esposti intenzionalmente al sole. Nel caso in cui l’esposizione, anche indiretta, sia inevitabile, si raccomanda di utilizzare indumenti protettivi ed eventualmente applicare creme solari con filtri inorganici quali l’Ossido di Zinco. In generale tutti i bambini, quando possibile, dovrebbero soggiornare al riparo dal sole.
In caso di attività ricreative all’aperto, si dovrebbero utilizzate indumenti protettivi, preferibilmente di colore scuro (i colori scuri riparano più di quelli chiari, i tessuti asciutti più di quelli bagnati) e a trama fitta (denim, poliestere, cotone + poliestere), meglio ancora indumenti tecnici (Ultraviolet Protection Factor – UPF). È necessario indossare sempre un cappello, meglio se a falde larghe, per proteggere anche la parte posteriore del collo e delle orecchie, che resterebbero scoperte con i berretti con visiera e, quando possibile e se il bambino è consenziente, usare occhiali da sole, perché anche gli occhi possono risentire negativamente dell’esposizione solare prolungata (CE UV 100% o 100 UV 400 nm). La WHAD&P accoglie le indicazioni contenute nel documento del Gruppo Fotoprotezione della FIMP, Federazione Italiana Medici Pediatri, denominato COCCO, che ribadisce queste misure di fotoprotezione.
Quando non si è vestiti è necessario esporsi sempre con gradualità per lasciare alla pelle il tempo di produrre la melanina, che rappresenta una difesa naturale dai raggi solari; evitare di esporsi nelle ore centrali del giorno (dalle 11 alle 16) e nelle altre ore della giornata e alternare esposizioni brevi a periodi di non esposizione.
In alcune circostanze (attività ricreative all’aperto, soggiorno in spiaggia durante la stagione estiva ecc.), i filtri e gli schermi solari risultano necessari, specie per i bambini con carnagione molto chiara, per evitare le scottature e limitare la quantità di UV che penetrano nella pelle. In tal caso, si raccomanda di preferire creme solari contenenti Ossido di Zinco. La quantità giusta è di 2 mg per cm² di superfice corporea (circa 10-15 ml per l’intero corpo di un bambino di 5 anni), da applicare 30 minuti prima dell’esposizione e da ripetere ogni due ore e dopo il bagno. Si raccomanda di evitare prodotti contenenti profumi, preferendo formulazioni resistenti all’acqua (water resistent o very water resistent).
Se possibile, verificare che il prodotto sia biodegradabile e che il packaging sia eco-sostenibile. L’uso della crema solare non deve generare un falso senso di sicurezza e indurre ad aumentare i tempi di esposizione. L’arrossamento cutaneo e la sensazione di bruciore che lo accompagna sono i campanelli di allarme estremi, annunciano che si è superato il limite di sopportazione della propria pelle in quelle condizioni ambientali.
“Queste linee di indirizzo rappresentano il contributo che la WHAD&P intende offrire alla comunità medico-scientifica affinché insieme si possano proporre linee guida comuni per una fotoprotezione efficace e sicura nell’età pediatrica”, afferma il Prof. Fabio Arcangeli, Presidente WHAD&P.
“Una recente indagine del Gruppo Fotoprotezione della FIMP ha evidenziato come la conoscenza in merito ai rischi dell’esposizione solare, dell’uso dei filtri solari e delle misure più adeguate per una fotoprotezione sicura sia ancora molto approssimativa, sia fra i pediatri di famiglia, che fra le famiglie dei loro assistiti. Per questo occorre intensificare l’opera di informazione e proporre campagne di sensibilizzazione rivolte soprattutto ai giovani, per evitare esposizioni incongrue alla luce solare e per evitare l’uso dei lettini abbronzanti”, aggiunge.
“Dati recenti, provenienti da studi condotti negli Stati Uniti e in Australia, mostrano, infatti, una diminuzione di circa il 5% dei casi di melanoma tra le generazioni più giovani, come risultato dell’efficacia delle good practices di fotoprotezione attuate negli anni precedenti, rispetto ad un incremento di casi nella popolazione over 60, che non ha beneficiato di una adeguata fotoprotezione. È necessario, inoltre, che le istituzioni sanitarie italiane ed europee provvedano tempestivamente a bandire le sostanze incriminate e che, al pari di quanto avviene negli USA, considerino i filtri solari farmaci e non cosmetici, prevedendo così adeguati requisiti di sicurezza ed efficacia”, conclude.