Postare foto bambini: un danno

E’ un danno a loro insaputa quello di postare foto dei nostri bambini e io stessa devo rammaricarmene, evidentemente. Un libro, “Nasci, cresci, posta” analizza gli effetti ‘collaterali’ del condividere immagini dei piccoli.
“Nasci, cresci e posta. I social network sono pieni di bambini: chi li protegge?” edito da Città Nuova, scritto dal giornalista esperto di tecnologie Simone Cosimi e dallo psicanalista Alberto Rossetti, sottolinea come il postare foto dei bambini, per “discutere delle esistenze ed esigenze dei propri figli, spesso piccolissimi ai soli fini esibizionistici”, sia un danno che si fa a loro insaputa.
E’ un danno postare foto dei bambini: ha una serie di ricadute negative sulla vita dei diretti interessati che, una volta adulti, potrebbero anche portare i genitori in tribunale, come è accaduto nel 2016, quando una 18enne austriaca ha denunciato la mamma e il papà per aver pubblicato su Facebook, nel corso degli anni, centinaia di sue foto che la ritraevano bambina, senza averla mai consultata.
“I bambini, una volta cresciuti e alle prese con la propria rete sociale, su quelle piattaforme, si ritroveranno dotati di un fardello di contenuti digitali impropriamente pubblicati nel corso degli anni dai genitori. Senza, ovviamente, che il soggetto più importante della relazione – il bambino – avesse alcuna possibilità di dire la sua”. Su “Nasci, cresci e posta” si legge: “Secondo uno studio britannico circa un migliaio di foto per ogni bambino finiscono online prima che questi compia 5 anni. I genitori ne pubblicano quasi 200 ogni anno”. Più recentemente il garante italiano per la privacy Antonello Soro è tornato sul punto con una sentenza definitiva: “La pedopornografia in rete e, particolarmente nel dark web, sarebbe in crescita vertiginosa: nel 2016 due milioni le immagini censite, quasi il doppio rispetto all’anno precedente. Fonte involontaria sarebbero i social network in cui genitori postano le immagini dei figli”. La soluzione? “Ovviamente pubblicare meno immagini possibili, nascondendo sempre il volto per schivare rischi”.
Quando i nostri piccoli vanno in rete e contatto con i social, invece, cosa fare? Nel volume si consiglia non far loro aprire un account personale fino ad almeno 13 anni: “Il limite dei 13 anni è nato per tutelare i bambini e se non si fa rispettare il messaggio che arriva è che nel mondo dei social si può, anzi si deve, mentire. Sotto i 10 anni, poi, i rischi si moltiplicano, i bambini rischiano di condividere proprie informazioni sensibili o parlare con sconosciuti”.
“Va trovato un equilibrio tra la spinta sociale, che vorrebbe tutti online, e il rispetto dei tempi del ragazzo. Non è che dopo i 13 anni sia tutto risolto, però i ragazzi sono sempre più capaci di autoregolarsi e l’identità comincia ad avere una base più solida”. I due autori sottolineano: “Le piattaforme fanno però molto meno di ciò che potrebbero e dovrebbero per impedire ai minori di quell’età, d’altronde abilissimi a mentire, di iscriversi. Dunque il controllo di fatto sta ai genitori. Un margine di mediazione sulla soglia minima può esserci solo a patto che il canale sia aperto e trasparente, i social network diventino un tema conversazione: quali nuove richieste di amicizia sono arrivate, quali contenuti l’hanno colpito di più, come ritiene che i suoi amici o compagni di classe usino quel mezzo”.
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