Gravidanza e lavoro: discriminazione
Gravidanza e lavoro nel 2024 non devono essere impossibili da conciliare. Se accade, e purtroppo succede, è sbagliato. Eppure su Il Giorno un lungo articolo raccoglie storie di discriminazione, sono state raccolte dai sindacati a Monza. C’è chi nasconde il pancione fino all’ultimo, altre donne fingono di essere single pur di prendere o conservare un impiego.
La parità di genere è un diritto irrinunciabile oramai. Le donne non devono essere vittime di una discriminazione becera e patriarcale, la società, in Italia, deve, obbligatoriamente, evolversi. Gravidanza e lavoro devono procedere di pari passo, i figlii non possono diventare un incubo per chi decide di metterli al mondo.
Sono tante le storie di discriminazione, però, ahimè. Quelle che raccontano che gravidanza e lavoro per alcuni datori di lavoro sono inconciliabili. Caterina, 36 anni, da 7 anni, è disoccupata: ha lavorato come operaia di produzione in una ditta poi fallita a ottobre 2018. “Ma ha fatto una decina di colloqui. E ogni volta le è stato posto come problema il fatto di essere madre”, scrive Il giornale. ”In un call center di Desio ad esempio hanno preferito prendere una signora di 61 anni che non ha figli – racconta Caterina –. Mi chiedevano sempre se avessi figli o se fossi fidanzata o sposata. Questo è successo anche alle mie sorelle di 33 e 20 anni e a molte donne che conosco. E così molte preferiscono dire che sono single”.
C’è pure la storia di Giulia, brianzola di 40 anni, assunta nel 2015 come addetta in un call center. Dopo tre mesi si è trovata a ricoprire un ruolo di maggiore responsabilità (pur mantenendo lo stesso contratto). ”Ho avuto paura di andare in maternità nel 2017 – dice – Ho tenuto nascosta la gravidanza fino all’ultimo e ho lavorato fino al nono mese. Il lavoro in sé era molto impegnativo, ero costretta a proseguirlo anche fuori dall’orario, la sera, dopo cena, anche durante assenze per malattia o festività. Sono arrivati a dirmi: ‘Metti a letto le bambine se no non farai mai in tempo a finire’”.
“Anche la 104, che avevo per diritto – prosegue –, potevo prenderla solo per qualche ora che poi avrei dovuto recuperare, e per le figlie non ottenevo permessi. Nel 2019 ho iniziato ad ammalarmi d’animo, ho perso 40 chili in due anni, e vivevo di tranquillanti”. “Nel settembre del 2022 – conclude – ho avuto un esaurimento e poco dopo mi sono dimessa per giusta causa. Grazie alla vertenza sindacale presentata con la Cisl, ho ottenuto un risarcimento tramite conciliazione. Denunciare queste realtà è possibile e non è vero che dopo la vita è finita. Ora faccio un altro lavoro e ho ricominciato a vivere”.
Tutto questo è pazzesco e non può passare sotto silenzio. Essere accettato. Chi lo subisce deve denunciare. Chi lo subisce deve ribellarsi. Bisogna continuare a lottare per far sì che le cose cambino sempre più
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