Bimbi scout

I bimbi scout sono super. Si divertono un mondo, imparano a stare insieme ed essere collaborativi, in più, secondo uno studio, hanno meno rischi di sviluppare malattie mentali da adulti, dopo i 50 anni.
I bimbi scout diventano facilmente indipendenti, sono in grado di gestirsi con più facilità. Grazie alle attività che li vedono protagonisti, si ingegnano e sviluppano un problem solving di spessore. I bimbi scout stanno all’aperto e imparano così, soprattutto, a vivere nella natura e a rispettarla.
Sono tantissime le ragioni per le quali i bambini dovrebbero essere degli scout, chi ha la possibilità e il tempo, assecondi la passione del proprio figlio o lo sproni a diventare uno scout.
“E’ qui dunque lo scopo più importante della formazione scout: educare. Non istruire, si badi bene, ma educare; cioè spingere il ragazzo ad apprendere da sé, di sua spontanea volontà, ciò che gli serve per formarsi una propria personalità”, scriveva Rober Baden-Powell che ha avuto questa meravigliosa idea. La parola scout, significa ricognitore, esploratore. E’ stata scelta da Baden-Powell pensando ai ragazzi e a ciò che potevano scoprire; il termine vuole anche far pensare a persone in grado di cavarsela da sole nelle situazioni più svariate: organizzate e attrezzate, sia interiormente sia esteriormente, in ogni evenienza.
Vi dicevo dello studio dell’università di Edimburgo, pubblicato sul Journal of Epidemiology and Community Health. I risultati sono davvero sorprepndenti: Chi da bambino è stato uno scout ha meno rischi di sviluppare malattie mentali una volta arrivato ai 50 anni. Partecipare in queste organizzazioni regala, da ‘grandi’ un miglior benessere mentale.
Le attività che si fanno in questi gruppi aiutano a sviluppare la capacità di recupero contro i comuni stress, e aumentano le chance di avere più successo nella vita. Cosa che riduce le esperienze stressanti. “E’ abbastanza sorprendente riscontrare questi benefici nelle persone molti anni dopo che hanno terminato la loro esperienza negli scout“, ha commentato Chris Dibben, coordinatore della ricerca.
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