Zeppole di San Giuseppe al cacao

Le mangiamo solitamente normali, ma per il prossimo 19 marzo, Festa del Papà, per cambiare possiamo preparare le zeppole di San Giuseppe al cacao. Queste sono un po’ più dietetiche, diciamo così, perché cotte al forno. Ma ugualmente golose e squisite.

Per fare le zeppole di San Giuseppe al cacao occorre avere:
140 grammi di farina 00
30 grammi di zucchero
3 uova
25 grammi di cacao in polvere, 100 grammi di burro, 250ml di acqua
Un pizzico di sale
Per la crema:
250 grammi di mascarpone, 250ml di panna
50 grammi di zucchero a velo
Non dimenticate le amarene sciroppate per guarnirle sopra…
Prima di tutto dedichiamoci alla pasta choux. In un pentolino mettere il burro a tocchetti, il pizzico di sale, l’acqua e lo zucchero, a fiamma bassa mescolare e far sciogliere tutto. Togliere il pentolino dal fuoco e aggiungere la farina e il cacao amaro, mescolare fino a quando il composto non sarà amalgamato. Trasferire l’impasto in una ciotola e aggiungere le uova a una a una, impastare nuovamente. Trasferire ora il composto in un sac à poche con bocchetta a stella. Su una teglia con sopra la carta da forno formare delle ciambelline ci circa 10 centimetri di diametro. Cuocere in forno a 190° per 40 minuti. Quando saranno pronte, sfornare, far raffreddare e poi tagliare le zeppole di San Giuseppe al cacao a metà.
Adesso la crema. In una terrina mettere il mascarpone con lo zucchero a velo, lavorare con la fruta, versare anche la panna e montare il tutto. Sempre con l’aiuto di un sac à poche dentro il quale andrà messa la crema, farcire le zeppole e riempirle al centro. Decorare con l’amarena.
Disturbi alimentari: nello sport colpiscono il doppio

Dobbiamo stare sempre all’erta con i nostri bambini. I disturbi alimentari, come già detto, sono in vertiginoso aumento tra i più piccoli, con sintomi sempre più in età precoce. Sappiate anche che nello sport colpiscono il doppio. Come sottolineato dai dati di Fondazione Maria Bianca Corno, che promuove la Settimana Lilla, che si conclude domani, 15 marzo, al primo posto c’è la bulimia, seguita dall’anoressia. A seguire il Binge Eating disorder e gli EDNOS, i disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati, tra cui la vigoressia e l’ortoressia.
Nello sport i disturbi alimentari colpiscono il doppio. Laura Dalla Ragione lo chiarisce al Corriere della Sera. la psichiatra e direttrice della Rete di servizi sui DNA dell’Usl Umbria 1 e del Campus Biomedico di Roma spiega: “Le performance sportive sono diventate un momento di difficoltà per tantissimi giovani. L’incidenza di DNA è appunto doppia a parità di età e genere, ci sono moltissime ricerche che lo confermano. Lo sport, che è una cosa meravigliosa, per alcuni può diventare un fattore di rischio di disturbi alimentari”.
“Nello sport (specie in alcune discipline) spesso il problema scatenante è l’obbligo di mantenersi entro un certo peso per poter accedere alle gare – precisa la specialista –. Ma spesso il ragazzo o la ragazza che fanno attività sportiva hanno fame e non riescono a trattenersi come vorrebbero, così, per mantenere il peso, usano metodi di compensazione propri della bulimia, come il vomito autoindotto, i lassativi, i diuretici. E la bulimia non è meno rischiosa per la salute: può portare a squilibri elettrolitici dovuti all’azione del vomitare più volte al giorno. Se si abbassa la quota di potassio nel corpo si può anche arrivare a un arresto cardiocircolatorio”.
E’ evidente che i disturbi alimentari nello sport colpiscono il doppio, ma quali sono le discipline più a rischio? “Danza, ginnastica artistica, pattinaggio. In generale le discipline dove bisogna mantenere un certo tipo di corpo, un certo tipo di peso”.
“Il mondo della danza più di tutte le discipline è a rischio perché è fuori dal Coni, non ha una Federazione, quindi, non c’è alcun tipo di controllo o normativa. Nella danza è diffusa la cosiddetta “triade dell’atleta”: associazione di un disordine alimentare, di amenorrea e osteoporosi. C’è un’incidenza nelle ballerine professioniste del 30% circa. La perdita delle mestruazioni può determinare conseguenze, oltre che cliniche, anche psicologiche e l’impossibilità di raggiungere un peso ‘normale’ in adolescenza può comportare ripercussioni sull’accrescimento osseo”, aggiunge.
Fate attenzione e vigilate, se vi accorgete che qualcosa non va, intervenite immediatamente con i vostri figli.
Decalogo per sonno migliore

I bambini dormono poco e male e l’insonnia tra di loro aumenta a causa anche dell’uso dei dispositivi elettronici durante le ore serali. In occasione della Giornata Mondiale del Sonno 2025, che ricorre venerdì 14 marzo e ha come slogan “Fai della salute del sonno una priorità”, la Simri (Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili), affiliata alla Società Italiana di Pediatria, lancia un decalogo per sfatare i principali falsi miti e diffonde consigli per un sonno migliore.

“Gli studi confermano che il sonno è essenziale per il corretto sviluppo cerebrale, la memoria, la regolazione emotiva e il rafforzamento del sistema immunitario”, spiega la Simri. Eppure, sottolinea, “il 20-30% dei bambini sotto i due anni e il 15% dei bambini con più di 2 anni soffre di insonnia. Il 12% dei bambini in età prescolare russa abitualmente, un problema spesso sottovalutato. La privazione di sonno negli adolescenti è in aumento, spesso a causa dell’uso di dispositivi elettronici nelle ore serali. Solo il 15% dorme le 8-10 ore raccomandate”.
La mancanza di un riposo ottimali ha conseguenze pesanti: difficoltà di concentrazione, irritabilità, calo delle prestazioni scolastiche, rischio di sovrappeso e, nel lungo periodo, problemi cardiovascolari e metabolici.
“Il sonno è un elemento fondamentale per la salute dei bambini e degli adolescenti, ma ancora troppo spesso viene sottovalutato. Con questa iniziativa vogliamo sensibilizzare genitori e operatori sanitari sull’importanza di un riposo adeguato, perché dormire bene significa crescere meglio”, afferma la presidente Simri Stefania La Grutta.
“Sfatare i falsi miti sul sonno è essenziale per migliorare le abitudini e la qualità del riposo. Troppo spesso credenze errate portano a comportamenti che penalizzano il benessere dei bambini. Il nostro obiettivo è fornire informazioni chiare e basate sulle evidenze scientifiche”, aggiunge Luana Nosetti, responsabile dei Corsi di Formazione Teorico-Pratici sui Disturbi Respiratori del sonno della Simri.
Il decalogo per un sonno migliore è necessario sfatare i falsi miti sul sonno.
“Se recupero nel weekend, posso dormire poco in settimana” → Falso! Il debito di sonno non si annulla dormendo di più nei fine settimana. Il corpo ha bisogno di un ritmo costante.
“Il russare nei bambini è solo un fastidio” → Falso! Russare più di tre volte a settimana per almeno tre mesi è una patologia da non sottovalutare. Può essere anche il segnale di apnee ostruttive del sonno, un disturbo che va monitorato perché può aumentare il rischio di malattie cardiache, comportamentali e di accrescimento.
“Gli adolescenti sono pigri se vanno a dormire tardi” → Falso! Il loro orologio biologico si sposta naturalmente in avanti, rendendo più difficile addormentarsi presto. Tuttavia, la scuola e gli impegni mattutini li costringono a dormire meno. La maggior parte dorme meno di 7 ore a notte accumulando debiti di ore di sonno.
“Usare il cellulare prima di dormire non incide sul sonno” → Falso! La luce blu riduce la produzione di melatonina e rende più difficile addormentarsi.
“Saltare il pisolino aiuta i bambini a dormire meglio di notte” → Falso! I bambini piccoli hanno bisogno di sonnellini per evitare stanchezza eccessiva ed eccitazione, che rendono più difficile l’addormentamento la sera.
“Mangiare cioccolato o bere bevande energetiche la sera non influisce sul sonno” → Falso! Caffeina ed energy drink possono rimanere in circolo per ore, disturbando il riposo notturno.
“Lasciare piangere un bambino lo abitua a dormire” → Falso! Il sonno sereno si costruisce con una routine rassicurante, non con il pianto prolungato.
“Se un bambino si sveglia spesso di notte, significa che ha già riposato abbastanza” → Falso! I risvegli notturni possono essere segno di problemi del sonno.
“Fare sport intenso prima di dormire aiuta il sonno” → Falso! L’attività fisica è utile, ma va evitata nelle 2-3 ore precedenti l’addormentamento perché accentua lo stato di veglia, la frequenza cardiaca e il livello degli ormoni dello stress.
“Un bambino che ha apnee nel sonno o ha dormito poco o male, il giorno dopo si addormenta a scuola” → Falso! Molti bambini, a differenza degli adulti o degli adolescenti, non si addormentano quando sono stanchi, ma diventano irritabili e iperattivi, e spesso vengono scambiati per bambini con problemi comportamentali.
Cinque regole d’oro per un sonno migliore.
1. Spegnere gli schermi almeno un’ora prima di dormire: la luce blu inibisce la produzione di melatonina, rendendo più difficile addormentarsi.
2. Andare a dormire e svegliarsi alla stessa ora ogni giorno, anche nei fine settimana: la regolarità aiuta il corpo a stabilizzare il ritmo circadiano.
3. Creare una routine serale rilassante: leggere un libro, abbassare le luci e favorire un ambiente tranquillo.
4. Ascoltare musica rilassante prima di dormire: melodie dolci e suoni naturali possono favorire il rilassamento.
5. Garantire un ambiente sicuro per il sonno dei neonati: il lettino deve essere privo di oggetti, avere un materasso rigido e il bambino deve dormire a pancia in su per ridurre il rischio di SIDS.
Le ore di sonno raccomandate secondo l’American Academy of Sleep Medicine
Fascia d’età Ore di sonno raccomandate al giorno
Neonati (0-3 mesi) 14-17 ore
Lattanti (4-12 mesi) 12-16 ore (inclusi i sonnellini)
Bambini (1-2 anni) 11-14 ore (inclusi i sonnellini)
Prescolari (3-5 anni) 10-13 ore (inclusi i sonnellini)
Scolari (6-12 anni) 9-12 ore
Adolescenti (13-18 anni) 8-10 ore
Il decalogo è utilissimo e ci aiuta ad agire opportunamente coi nostri figli affinché abbiano una qualità di vita più sana.
Disturbi alimentari: primi sintomi già a 8 o 9 anni

I primi sintomi dei disturbi alimentari compaiono già a 8 o 9 anni. E’ pazzesco, ma è così. Le diagnosi in merito sono aumentate del 64%. I dati che arrivano tra i bambini sono più che allarmanti.

Sul Corriere della Sera si legge che le diagnosi annuali all’ospedale Pediatrico Bambino Gesù per quel che riguarda i disturbi alimentari tra i bambini sono aumentate del 64% rispetto al 2019 ultimo anno prima della pandemia di Covid 19. Nella categoria DNA (disturbi della nutrizione e dell’alimentazione) rientrano anoressia nervosa, bulimia nervosa, disturbo da alimentazione incontrollata, disturbo evitante-restrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID) e disturbi alimentari non altrimenti specificati (NAS). Secondo il Ministero della Salute a livello nazionale questa, che è una vera emergenza, ha toccato +35%. I primi sintomi sin da giovanissimi: già a 8 o 9 anni.
“I dati raccolti negli ultimi anni evidenziano un aumento dell’incidenza dei disturbi alimentari in età pediatrica e adolescenziale”, commenta Valeria Zanna, responsabile dell’Unità operativa semplice di Anoressia e Disturbi Alimentari dell’Ospedale.
Tra le cause dei primi sintomi, che arrivano già a 8 o 9 anni, l’abbassamento dell’età puberale delle bambine e i social network, sempre più diffusi tra i piccoli, che impongono modelli sbagliati.
“Negli ultimi anni, i pazienti più giovani presentano quadri psicopatologici più gravi, sia per la sintomatologia alimentare che per le caratteristiche psicologiche associate. Inoltre, i nuclei familiari di questi pazienti risultano più sofferenti, con difficoltà comunicative, una maggiore fragilità emotiva e un funzionamento complessivo compromesso”, sottolinea ancora l’esperta.
Sfince di San Giuseppe

Le ricette dolci per sollazzare il palato dei nostro bimbi non finiscono mai. A marzo ecco quella delle sfince di San Giuseppe, per una Festa del Papà da urlo.
Come fare da sole, o con l’aiuto dei piccoli chef di casa, le sfince di San Giuseppe. Ecco cosa vi serve avere:
- 250 g di farina 00
- 250 ml di acqua
- 250 g di uova (circa 5 uova medie)
- 50 g di strutto
- 1 pizzico di bicarbonato
- 1 pizzico di sale
Per la crema:
- 600 g di ricotta di pecora
- 150 g di zucchero a velo
- 60 g di gocce di cioccolato fondente
Non dimenticate che stiamo parlando di un dolce siciliano: la pasta choux va fritta in olio di semi di arachidi. Se vi piace, la crema va arricchita con scorze di arancia candite, ciliegie candite e granella di pistacchi.
Prima di tutto bisogna occuparsi della crema. Sarebbe opportuno far scolare il siero dalla ricotta tutta la notte. Il giorno dopo va mescolata in una ciotola col cucchiaio, unendo lo zucchero a velo, le gocce di cioccolato fondente.
Ora la pasta. In una casseruola mettete l’acqua, lo strutto e il sale. Portate a ebollizione e unite in una sola volta la farina, mescolate vigorosamente. Quando il composto sarà pronto, trasferitelo in un’altra ciotola. Lavorate ancora la pasta con la frusta, aggiungete un uovo alla volta e il bicarbonato: l’impasto deve essere liscio.
Scaldate abbondante olio in una padella per friggere dai bordi alti . Portate alla temperatura di 170°. Immergete 2 cucchiai nell’olio caldo. Prelevate una cucchiaiata di pasta choux. Fatela scivolare nell’olio. Friggete le sfince di San Giuseppe per circa 10 minuti, continuando a girarle e portandole sotto il livello dell’olio. Quando saranno dorate e si gonfieranno triplicando il loro volume, scolatele su un vassoio con carta da cucina. A frittura terminata riempitene ognuna con la crema di ricotta e cioccolato preparata. Potrete decorarle con la scorza d’arancia, una ciliegina e la granella di pistacchio.
Bambini: giochi che aiutano a crescere

Non genitori siamo apprensivi, spesso non vogliamo che i nostri figli si facciano male, ma ci sono giochi che aiutano a crescere. I bambini devono sperimentare all’aria aperta, come del resto facevamo noi un tempo: arrampicarsi, muoversi liberamente. Certo: gli adulti devono controllare. E’ naturale. E, nel caso, intervenire.

Dei giochi che aiutano a crescere i bambini ne parla un articolo su Nature. Servono proprio da percorso formativo. “Un bambino che impara a gestire piccoli rischi, sempre commisurati all’età e alle sue competenze, affina una capacità che in termini più generali si chiama resilienza, ovvero quell’insieme di caratteristiche costituzionali, innate o acquisite, che permettono ad ognuno di noi di reagire in modo adattivo alle difficoltà”, spiega Elisa Fazzi al Corriere della Sera.
Il presidente della Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, ne è certa. Direttore dell’Unità di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza all’ASST Spedali Civili di Brescia, aggiunge: “Imparare a gestire piccoli rischi, aiuta poi a sviluppare anche altre competenze come la capacità di prendere decisioni e la fiducia in sé stesso. Esplorando situazioni nuove, il bambino migliora anche la modulazione e il controllo delle emozioni, la capacità di affrontare la frustrazione, la paura o l’incertezza e acquisisce una maggiore autonomia”.
“L’abilità del genitore sta nel proporre esperienze che richiedano la motivazione, l’impegno e un po’ di sforzo da parte del bambino. Ma che nello stesso tempo siano alla sua portata e non troppo difficili. Come imparare a camminare, a salire e scendere le scale, a correre, ad andare in bicicletta, a nuotare e così via – continua –. E il genitore deve essere capace di essere presente, di accompagnare il figlio con la presenza, l’incoraggiamento, ma senza sostituirsi completamente a lui e senza risolvergli sempre il problema anticipandone i bisogni e dandogli come si dice ‘la pappa pronta’”.
Non dobbiamo avere paura dei giochi che aiutano a crescere i nostri bambini: è sbagliatissimo essere genitori iperprotettivi.
Linee per la fotoprotezione in età pediatrica

La World Health Academy of Dermatology and Pediatrics (WHAD&P), associazione senza fine di lucro, ha riunito a Roma, presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi, un panel di esperti dermatologi e pediatri internazionali. Tutto per fare chiarezza sulla fotoprotezione pediatrica. Ha realizzato un documento condiviso: “Linee di indirizzo per la fotoprotezione in età pediatrica”. Questo, sulla base delle più recenti evidenze scientifiche, presenta un approccio globale, con gli stili di vita da seguire e i filtri da usare, per garantire efficacia e sicurezza.

Quali sono le linee di indirizzo per la fotoprotezione in età pediatrica? Noi genitori dovremmo conoscerle a fondo, per salvaguardare i nostri figli durante l’esposizione al sole.
Ecco qui di seguito le linee di indirizzo per la fotoprotezione in età pediatrica:
• L’esposizione al sole va considerata necessaria per la produzione di vitamina D. Una carenza di Vitamina D si riscontra in Italia e in Europa nel 40-50% della popolazione in età compresa fra 0 e 18 anni. La vitamina D necessaria viene prodotta per l’80% dalla pelle dopo esposizione al sole. L’introduzione con gli alimenti incide solo per il 20% e di questo solo il 40% risulta biodisponibile. Per una produzione ottimale di vitamina D è stato calcolato che sono sufficienti 15 minuti di esposizione al sole del viso e degli arti. Questo sia in estate, che in inverno, 2 o 3 volte alla settimana, non nelle ore centrali del giorno.
• L’incongrua esposizione al sole, specie in età pediatrica, è certamente responsabile non solo dell’invecchiamento cutaneo precoce, ma soprattutto di gravi danni alla salute quali l’insorgenza di carcinomi cutanei (causata dal danno solare cumulativo) e di melanoma cutaneo (causato da ustioni solari ripetute) in soggetti geneticamente predisposti.
- Per prevenire i tumori cutanei (carcinomi e melanoma) occorre:
a) identificare i soggetti a maggiore rischio
b)adottare adeguate misure di fotoprotezione finalizzate a prevenire le ustioni solari e limitare la quantità di raggi ultravioletti che raggiungono la pelle nel corso dell’intera vita
c) seguire una dieta ricca di alimenti contenenti antiossidanti (Vitamine C, E, A / Zinco, Selenio, Rame / Polifenoli e Flavonoidi / Carotenoidi / Probiotici).
• La fotoprotezione, specie in età pediatrica, è indispensabile e non può limitarsi alla semplice applicazione di creme solari. E’ una pratica articolata che richiede soprattutto misure protettive non farmacologiche e adeguati stili di vita. Per questo si accolgono le indicazioni contenute nel documento del Gruppo Fotoprotezione della FIMP, denominato COCCO.
• In merito alla potenziale tossicità dei filtri solari, si condividono le preoccupazioni espresse da numerosi e autorevoli autori e da associazioni pediatriche. Molti filtri organici (filtri chimici) contengono sostanze che possono essere assorbite dall’organismo. Producono danni alla salute umana (interferenza endocrina, stimolo della formazione di carcinomi, reazioni allergiche) e possono risultare nocive per l’ambiente marino.
Cautelativamente si consiglia di preferire sempre prodotti solari contenenti molecole inorganiche, soprattutto Ossido di Zinco, stabile e ad ampio spettro, ma non formulato in nanoparticelle o nebulizzato. Possibilmente associato a sostanze naturali con proprietà antiossidanti e immunostimolanti. Si auspica che le autorità sanitarie, italiane ed europee, possano bandire l’impiego delle molecole incriminate e più in generale possano considerare i filtri solari, similmente a quanto avviene negli USA, farmaci e non cosmetici.
• Prima dei 6 mesi di vita i bambini non dovrebbero essere esposti intenzionalmente al sole. Nel caso in cui l’esposizione, anche indiretta, sia inevitabile, si raccomanda di utilizzare indumenti protettivi ed eventualmente applicare creme solari con filtri inorganici.
• In generale, tutti i bambini, quando possibile, dovrebbero soggiornare al riparo dal sole.
• In caso di attività ricreative all’aperto, si dovrebbero utilizzate indumenti protettivi, preferibilmente di colore scuro (i colori scuri riparano più di quelli chiari, i tessuti asciutti più di quelli bagnati). E a trama fitta (denim, poliestere, cotone + poliestere). Meglio ancora indumenti tecnici (Ultraviolet Protection Factor – UPF). È necessario indossare sempre un cappello, meglio se a falde larghe per proteggere anche la parte posteriore del collo e delle orecchie, che resterebbero scoperte con i berretti con visiera. E, quando possibile e se il bambino è consenziente, usate occhiali da sole, perché anche gli occhi possono risentire negativamente dell’esposizione solare prolungata (CE UV 100% o 100 UV 400 nm).
• Quando non si è vestiti è necessario esporsi sempre con gradualità per lasciare alla pelle il tempo di produrre la melanina, che rappresenta una difesa naturale dai raggi solari.
• Evitare di esporsi nelle ore centrali del giorno (dalle 11 alle 16) e nelle altre ore della giornata, alternare esposizioni brevi a periodi di non esposizione.
• In alcune circostanze (attività ricreative all’aperto, soggiorno in spiaggia durante la stagione estiva ecc.), i filtri e gli schermi solari risultano necessari, specie per i bambini con carnagione molto chiara, per evitare le scottature e limitare la quantità di UV che penetrano nella pelle. In tal caso si raccomanda di preferire creme solari contenenti Ossido di Zinco. La quantità giusta è di 2 mg per cm² di superficie corporea (circa 10-15 ml per un bambino di 5 anni), da applicare 30 minuti prima dell’esposizione e da ripetere ogni due ore e dopo il bagno.
• Si raccomanda di evitare prodotti contenenti profumi, preferendo formulazioni resistenti all’acqua (water resistent).
• Se possibile, verificare che il prodotto sia biodegradabile e che il packaging sia eco- sostenibile.
• L’uso della crema solare non deve generare un falso senso di sicurezza. E così indurre ad aumentare i tempi di esposizione. L’arrossamento cutaneo e la sensazione di bruciore che lo accompagna sono i campanelli di allarme estremi. Annunciano che si è superato il limite di sopportazione della propria pelle in quelle condizioni ambientali.
• Alcune malattie dermatologiche (vitiligine, psoriasi, dermatite atopica ecc.) possono beneficiare della esposizione alla luce del sole o di emittenti artificiali. Per la elioterapia si rimanda a quanto indicato sopra. In merito alla fototerapia, consigliata solo dopo i 16 anni di età, si indicano come prioritarie la fototerapia selettiva con UVB-NB (UVB 311 nm. Il laser a eccimeri e UVA-1 355 nm per la vitiligine. UVB-NB e UVA-1 per tutte le altre patologie. La fotochemioterapia (PUVA) è considerata una procedura di secondo livello, da adottare solo in caso di mancato beneficio con le precedenti.
Bombe di patate

A volte rimaniamo ferme, assorte, pensando a un secondo gustoso per i nostri figli. Se non sapete cosa cucinare e desiderare fare un qualcosa di molto sfizioso e soprattutto appetitoso, allora mettetevi all’opera: le bombe di patate sono la ricetta ideale.

Per fare le bombe di patate, ripiene di succulenta e morbida scamorza, occorre avere:
400 grammi di patate a pasta gialla, precedentemente lessate
50 grammi di parmigiano reggiano grattugiato
200 grammi di farina 00
100 grammi di prosciutto cotto
100 grammi di scamorza bianca
1 bustina di lievito per torte salate
Sale q.b.
Lessate le patate, fatele raffreddate, sbucciatele e schiacciatele: mettete la purea in una ciotola. Aggiungete il parmigiano reggiano, poi la farina e il lievito. Impastate e aggiungete il sale. Il composto non dovrà essere appiccicoso. Avvolgetelo con la pellicola trasparente e lasciatelo riposare per una ventina di minuti.
Su un pianale infarinato, trascorso il tempo, stendete l’impasto, deve essere alto 5 mm circa. Con un coppapasta tagliate i cerchi. Sulle sagome ottenute mettete un pezzo di scamorza tagliata finemente e un po’ di prosciutto. Ora prendete un’altra sagoma e coprite, sigillando bene i bordi facendo pressione con le dita.
Le bombe di patate vanno fritte a una a una in olio di semi di girasole, dorando entrambi i lati. Vanno servite, eliminando l’olio in eccesso con carta assorbente, ben calde.