Consigli riduzione sale

La SINU, Società Italiana di Nutrizione Umana, sottolinea quanto il tanto sale negli alimenti faccia male. La nostra assunzione di sale supera largamente i bisogni fisiologici. L’eccessivo consumo di sale aumenta la pressione arteriosa e, riducendo il consumo, nella maggior parte dei casi, la pressione diminuisce. Un maggior consumo di sale è associato anche a lesioni aterosclerotiche premature e ad un più alto rischio di eventi cardiovascolari, quali infarto cardiaco ed ictus cerebrale. La riduzione della pressione conseguente alla riduzione del consumo di sale è in grado di prevenire un numero sostanziale di eventi cardiovascolari. La moderazione nel consumo di sale sarà tanto più efficace quanto prima viene implementata nella vita di un individuo. Per questo regala consigli pratici per la riduzione di sale. Riguardano sia gli adulti che i bambini.

I consigli per la riduzione del sale allungano la vita e sono semplici da seguire, basta solo un po’ di volontà e volersi bene, seguendo sempre, come già sottolineato in altri post, la dieta mediterranea, forte di prevenzione anche del tumore.
Ecco i consigli per la riduzione del sale.
- Acquisire consapevolezza del proprio consumo abituale di sale (eventualmente attraverso la misura dell’escrezione di sodio in una raccolta delle urine delle 24 ore) e realizzare il divario tra il proprio livello di assunzione e quello raccomandato (<5g al giorno complessivamente).
- Valutare quanta parte del proprio consumo di sale è dovuta al sale aggiunto in cucina e a tavola e quanta dipende, invece, dal contenuto di sale dei prodotti che acquistiamo o che consumiamo fuori casa (pane, pizza, taralli, crackers, grissini, formaggi, salumi, prodotti in scatola o in vetro, piatti pronti).
- Impegnarsi a ridurre sia il sale di uso domestico, sia quello nei prodotti acquistati o consumati fuori casa, leggendo sistematicamente l’etichetta al momento dell’acquisto e raccomandandosi di aggiungere poco sale al ristorante.
- Non aggiungere sale negli alimenti dei bambini e limitarne al massimo l’uso per tutta la famiglia.
- Limitare l’uso di condimenti alternativi contenenti sodio (dado da brodo, ketchup, salsa di soia, senape, ecc.).
- Insaporire i cibi con erbe aromatiche (come aglio, cipolla, basilico, prezzemolo, rosmarino, salvia, menta, origano, maggiorana, sedano, porro, timo, semi di finocchio) e spezie (come pepe, peperoncino, noce moscata, zafferano, curry).
- Esaltare il sapore dei cibi usando succo di limone e aceto (ad es. nelle insalate).
- Consumare solo eccezionalmente alimenti trasformati ricchi di sale (snack salati, patatine in sacchetto, olive da tavola, acciughe salate, alcuni salumi e formaggi).
- Nell’attività sportiva moderata reintegrare con la semplice acqua i liquidi perduti attraverso la sudorazione.
Migliori integratori contro allergie

Con la primavera chi ne soffre non sta mai bene. Spesso ci si domanda quali siano i migliori integratori contro le allergie, perché le rinite e le forme d’asma non fanno stare ben i grandi e neppure i piccini. Gli occhi lacrimano, si starnutisce ripetutamente, arriva il mal di testa…e così via.
“Secondo i dati raccolti dall’EFA (European Federation of Allergy and Airways Diseases Patients’ Associations) più del 30% della popolazione europea soffre di allergie respiratorie. Tra i fattori di rischio possiamo annoverare l’inquinamento ambientale, la presenza di casi di allergie nella storia familiare, l’asma, l’esposizione precoce agli allergeni domestici. Sono soprattutto a rischio quei soggetti che vivono in aree molto inquinate e presentano familiarità per allergie”, spiega la Dott.ssa Rosalba Carbone a Vanity Fair.
L’esperta chiarisce quali sono i migliori integratori contro le allergie. “Trattare le allergie stagionali non soltanto con farmaci ma anche e, a volte direi in via preferenziale, con integratori fitoterapici si può. Il mercato offre innumerevoli preparati assolutamente efficaci sia in prevenzione, sia in pronta risposta. Perilla, ribes nero, scutellaria, sambuco in estratti secchi titolati permettono di agire positivamente sull’equilibrio del sistema immunitario, sul benessere di gola e occhi e di avere una risposta efficace sulle allergie in genere”.
“La perilla frutescens, una specie erbacea orientale, è utilizzata per il sostegno delle naturali difese dell’organismo. Il ribes nero, la cui parte utilizzata in fitoterapia sono le foglie che contengono un fotocomplesso costituito da flavonoidi, ha proprietà antiallergiche e svolge un’azione antinfiammatoria e vasoprotettiva. La scutellaria serve a supportare le naturali difese dell’organismo. Ha proprietà decongestionanti e lenitive. Il sambuco ha proprietà mucolitiche ed è quindi il rimedio d’eccellenza in caso di eccessiva produzione di muco e catarro. Infine, anche lo zenzero può essere utile per favorire una normale respirazione”, aggiunge.
La dottoressa chiarisce sui migliori integratori contro le allergie: “In fase preventiva si assumono una volta al giorno, preferibilmente lontano dai pasti, mentre in fase acuta due volte al giorno, una a metà mattina e una a metà pomeriggio, per esempio. I benefici sono visibili già dopo le prime assunzioni e il trattamento può essere prolungato fino a tre mesi se si desidera rendere stabili i risultati ottenuti”.
In formissima col Calisthenics

Le neo mamme si chiedono come tornare al top, rispettando i tempi dell’allattamento e del post parto. In tv ammirano Lorella Cuccarini, che a 58 anni ad Amici mostra il suo fisico spettacolare, da far invidia alle giovanissime. Lei il suo segreto lo ha rivelato: è in formissima col Calisthenics, un metodo che usa resistenza e peso del corpo per esercizi che ti regalano un fisico super.

Il termine deriva da “kalos”, bello, e “sthénos”, forza. Col Calisthenics si sta in formissima sul serio, grazie a esercizi isometrici, dinamici, che si fanno in mobilità. Non servono infatti attrezzi: basta il peso del corpo. “Una sbarra dove appendersi e due sostegni come parallele sono sufficienti per realizzare una vasta gamma di movimenti. In questo scenario essenziale si costruiscono sequenze per tutti, dall’atleta esperto al neofita. L’allenamento si personalizza anche se fatto in gruppo”, spiega La Gazzetta dello Sport.
“Si individuano sia movimenti di riscaldamento eseguiti a corpo libero come saltelli, circonduzioni delle braccia in alto e jumps, sia esercizi fatti col sovraccarico naturale del proprio corpo, cioè piegamenti e flessioni su braccia, sit-up, crunch, reverse crunch per gli addominali, trazioni alla sbarra, squat, affondi”, precisa ancora il quotidiano sportivo.
La cosa bella è che non serve la palestra, in formissima col Calisthenics, certo, se vuoi il trainer che in sala guidi un allenamento che va dai 45 ai 60 minuti. Ma, dato che, appunto, non serve alcun attrezzo, lo si può tranquillamente fare pure all’aria aperta. E, con la bella stagione oramai arrivata, cosa c’è di meglio? Magai portando i bimbi a giocare al parco, ci si può ritagliare un momento anche per sé, o no?
Diabete: come mangiare i carboidrati

Chi soffre di diabete ha problemi di glicemia. Sapere come mangiare i carboidrati, che fanno bene a tutti, è fondamentale. Ne so qualcosa io che durante la gravidanza ho avuto la curva glicemica che si è alzata vertiginosamente e ho dovuto stare attenta con alimentazione, ripetendo i controlli dal settimo mese di gestazione in poi.

Come mangiare i carboidrati per chi soffre di diabete o chi è geneticamente portato alla glicemia alta lo spiega al Corriere della Sera Ilaria Prandoni. La biologa e nutrizionista di Palazzo della Salute del Gruppo San Donato è chiarissima. “La distinzione carboidrati ‘semplici’ e ‘complessi’ è importante perché quelli complessi si assimilano più lentamente a livello intestinale e non creano ‘picchi glicemici’ post prandiali, quindi contribuiscono a mantenere la glicemia più stabile. Mentre quando si mangia un carboidrato semplice si ha un innalzamento più rapido della glicemia. Ecco perché bisogna privilegiare i carboidrati complessi e consumarli a colazione, pranzo e cena preferibilmente nella versione integrale”.
“Può essere utile considerare l’indice glicemico dei singoli alimenti e ancor più il carico glicemico un parametro che stabilisce l’impatto sulla glicemia di un pasto contenente carboidrati – dice l’esperta – Nei diabetici bisogna evitare carichi glicemici elevati”.
“I carboidrati semplici si dividono in quelli ‘naturalmente presenti’ negli alimenti (nei vegetali e nei latticini) e quelli ‘aggiunti’, che vengono aggiunti agli alimenti (lo zucchero da tavola, gli zuccheri usati dall’industria alimentare o gli edulcoranti). Il paziente con diabete può bere il latte e mangiare la frutta (due porzioni al giorno). Alimenti che contengono naturalmente zuccheri. Ma dovrebbe eliminare o limitare molto il consumo di tutti i prodotti che contengono zuccheri ‘aggiunti’. Quindi i dolciumi, le bevande zuccherate, i succhi di frutta zuccherati”.
Come mangiare i carboidrati col diabete è basilare. Sui dolci la nutrizionista dice: “Uno alla settimana”. “Deve essere incoraggiato il consumo di cibi ricchi di fibre. Perché regolano l’assorbimento di carboidrati e grassi e modulano i picchi post-prandiali di glicemia – spiega la specialista –. Anche la verdura, ricca in fibra, va a regolarizzare l’assorbimento a livello intestinale dei carboidrati. Quindi consumata ad esempio con pasta e riso è ottima. Con la stessa funzione può essere utilizzata come spuntino. Anche i legumi, nonostante contengano una quota di carboidrati, sono da considerare una fonte proteica e di fibra. Si possono mangiare in associazione con pasta e riso: il piatto unico che si verrà a creare sarà più bilanciato a livello di assorbimento degli zuccheri”.
“Anche le persone in salute devono seguire una dieta sana, bilanciata e preventiva rispetto al diabete, che è una malattia molto diffusa. La dieta mediterranea preserva la salute e previene l’insorgenza di patologie croniche degenerative tra le quali anche il diabete. Anche per chi deve dimagrire questi sono i consigli alimentari giusti, che devono essere declinati con le quantità soggettive adatte a configurare una dieta ipocalorica rispetto ai fabbisogni”, conclude Prandoni.
Acqua di mare non cura ferite

Cosa ci hanno sempre detto da bambini? Che se avevamo un graffio e stavamo in spiaggia, bastava entrare in acqua per disinfettare il taglio. Invece questo non è vero. L’acqua di mare non cura le ferite. Tenetelo bene a mente ora che si va nuovamente verso la bella stagione, anche con i vostri figli, anzi, soprattutto con loro.
“Il mare e i raggi solari non hanno alcun effetto curativo”, spiega Giovanni Papa. Il presidente dell’Associazione italiana ulcere cutanee ETS (AIUC), direttore del Dipartimento di Chirurgia plastica dell’Ospedale di Cattinara (Trieste) Non ha dubbi. “Sono infatti solo vecchi luoghi comuni che, nella migliore delle ipotesi, non fanno né bene e né male. Nella peggiore, invece, possono complicare piccole lesioni , rovinando le vacanze”, sottolinea.
Non cura le ferite, anzi: l’acqua di mare potrebbe addirittura infettarle. “L’acqua di mare, che molto spesso e tutt’altro che ‘pulita’, aumenta le probabilità che una lesione venga infettata da diversi microrganismi , dando così origine a complicazioni più o meno gravi. Dalla formazione di ascessi a rare forme di infezioni batteriche, fino a infezioni alle ossa e alle articolazioni – precisa il medico – . I soggetti fragili, come ad esempio coloro che hanno patologie epatiche o il diabete, o che sono immunodepresse, presentano un rischio di infezione ancora maggiore”.
L’acqua di mare non cura le ferite e non lo fa neppure il sole. “I raggi solari non guariscono le ferite, né accelerano la loro guarigione e né riducono il rischio di infezioni – precisa l’esperto – In realtà, l’esposizione al sole può indurre un’iperpigmentazione della pelle, ovvero una macchia sulla parte di pelle in cui si trovano le ferite. La macchia che in questo modo si è venuta a creare dopo l’esposizione al sole delle ferite, può restare a lungo anche dopo l’avvenuto processo di cicatrizzazione. Pertanto le ferite andrebbero coperte e protette anziché esposte al sole”.
Per curare le ferite per il medico bisogna usare i soliti rimedi: “Disinfettante, cerotti o garze sterili: sono questi gli unici rimedi ‘fai da te’ concessi. Per accelerare la guarigione delle ferite possono essere utilizzati specifici prodotti da banco. Ad esempio pomate, spray o garze a base di estratto del grano. Quest’ultimo è particolarmente efficace nel favorire il processo di cicatrizzazione. Se quindi non vogliamo che una piccola ferita rovini le nostre vacanze è opportuno affidarsi agli unici rimedi che si sono dimostrati scientificamente validi per la disinfezione e la guarigione. Anche se piccole, le lesioni andrebbero opportunamente protette dall’acqua del mare e dal sole. Evitando, perciò, per pochi giorni, in base alla profondità della ferita, l’esposizione diretta a entrambi”.
Longevità sana

Noi donne, e anche tanti uomini, ci chiediamo come raggiungere una longevità sana: uno dei modi principali è fare attività fisica. Dopo i 40 anni dobbiamo darci da fare per mantenere il nostro corpo in forma, sia dentro che fuori.

Silvano Zanuso, fisiologo dell’esercizio e direttore scientifico di Technogym, è anche Associate Professor alla Edith Cowan University di Perth (Australia). A La Gazzetta dello Sport spiega come si conquista la longevità con l’attività fisica regolare. “Ci sono molti studi che mettono in relazione alcune variabili con la longevità, ma meno che associano queste variabili con una ‘longevità sana’, concetto più specifico. Le determinanti fondamentali per la longevità sono l’alimentazione corretta, la gestione dello stress, l’attività fisica e l’esercizio fisico. Queste ultime due non vanno confuse. L’attività fisica è il movimento quotidiano, come camminare o usare le scale. L’esercizio fisico invece è un’attività mirata, con obiettivi specifici in termini di tipologia (aerobico, di forza), carichi, ripetizioni, durata e intensità. Per una longevità sana bisogna fare attività fisica quotidiana e 2-3 volte a settimana esercizio fisico mirato, sia di tipo aerobico che per la forza”.
“Non è mai tardi per iniziare. Anzi, a qualsiasi età ci sono dei benefici nel fare esercizio fisico – precisa l’esperto – Più avanti si va, più diventa importante combinare l’allenamento aerobico con quello di forza. L’organismo di una persona che sta invecchiando va considerato come se fosse quello di un atleta, che ha bisogno di un programma disegnato sulle sue caratteristiche in termini di durata, intensità, tipologia di esercizio. Particolarmente importante, con l’avanzare dell’età, che sia presente una parte dell’allenamento dedicato alla forza. Con il progredire degli anni tendiamo a perdere muscoli (massa magra) e i muscoli sono fortemente correlati con un sano invecchiamento”.
Mangiare sano seguendo la dieta mediterranea italiana, fare esercizio fisico, dormire bene, gestire lo stress: tutto questo ci aiuta a raggiungere la longevità sana. Non bisogna pensare che superata una certa età i pesi non vadano fatti, anzi. Con l’aiuto di uno specialista, è necessario magari seguire un programma specifico che tenga conto dei problemi di chi deve allenarsi: ma sono fondamentali.
Molti studio scientifici sottolineano quanto l’attività fisica stimoli ormoni o meccanismi fisiologici favorevoli alla longevità. “L’attività fisica stimola e produce sirtuine, molecole che svolgono un ruolo cruciale nell’invecchiamento. Molto interessante anche il fatto che l’esercizio fisico, soprattutto quello di forza, migliori l’insulino-resistenza, che è alla base di molte patologie legate all’invecchiamento. E ci sono buone evidenze che anche il decadimento cognitivo migliori con l’esercizio fisico”, dice Zanuso.
Diabulimia

Nel panorama dei disturbi del comportamento alimentare la Diabulimia è forse il meno noto. Interessa tra il 30 e il 40% dei giovani con diabete di tipo 1 e il 10% nella fascia tra 12 e 19 anni con la patologia.

Si tratta di un Disturbo del Comportamento Alimentare in aumento tra gli adolescenti affetti da diabete che riducono o evitano volontariamente le dosi di insulina necessarie per il controllo della malattia. La Diabulimia affonda le proprie radici nell’insicurezza tipicamente legata all’età evolutiva e adolescenziale. Trova nella convivenza con una malattia cronica come il diabete di tipo 1 un innesco perfetto. Ma può perdurare anche in età adulta. E manifestarsi a qualsiasi età. In qualsiasi momento successivo alla diagnosi di diabete. Anche negli uomini. La prevalenza della omissione della dose di insulina negli adulti è del 21%. Questo secondo una recente metanalisi comparsa su Journal of Eating Behaviors.
La mancata aderenza alla terapia mette a rischio la salute dei giovani pazienti con alterazione dei valori di emoglobina glicata (A1c) e il rischio di episodi di ‘chetoacidosi diabetica’ che possono portare al ricovero ospedaliero.
“I rischi a lungo termine sono ancora più temibili perché lo scarso controllo dei livelli di zucchero nel sangue apre la strada a complicanze. L’iperglicemia cronica, la chetoacidosi diabetica, le complicanze cardiovascolari e renali, la neuropatia e la retinopatia”, sottolinea la Professoressa Raffaella Buzzetti, Presidente Eletto SID.
“Quello che ci preoccupa è la drammatica incidenza dei DCA in questa popolazione. Se nei soggetti sani la bulimia interessa il 3% dei giovani e i DCA in genere tra il 3,7 e 6,4%, nella popolazione con diabete decuplica e raggiunge livelli veramente elevati. Le cause sono molteplici e vanno ricercate nello stress della malattia. Nel carico della cura che fa sentire ‘diversi’. Nella gestione delle restrizioni alimentari. In situazioni di stigma o di insicurezza a cui si aggiungono le criticità tipiche dell’età dello sviluppo, inclusa l’ansia riguardante il peso e l’immagine corporea, che con una patologia cronica non possono che agire da detonatore”.
“L’insulina è un ormone lipogenetico. Può favorire l’accumulo di grasso. Inoltre, la somministrazione di insulina esogena nei pazienti con diabete, migliorando il controllo glicemico e riducendo la perdita di glucosio con le urine, può indurre, un aumento di peso. Con coinvolgimento in particolare della massa grassa. Accade se non si fa attenzione all’alimentazione. Per queste ragioni, le persone con diabete tipo 1, specie i giovani, pensano che omettendo, in parte o completamente, la terapia insulinica, potranno perdere peso”, precisa la dottoressa Marilena Vitale nutrizionista SID.
I disturbi del comportamento alimentare possono essere identificati utilizzando, almeno a livello di screening, questionari specifici. Alcuni sono quelli utilizzati anche per chi non ha il diabete, come, per esempio, il “modified Eating Disorder Inventory (mEDI)” o il “mSCOFF”. Esplorano aspetti propri dei disturbi del comportamento alimentare. Laa spinta verso la magrezza, la bulimia, l’insoddisfazione per il proprio corpo. E ancora: l’inadeguatezza, il perfezionismo, la sfiducia interpersonale. La presenza di sensazione di ‘pienezza insopportabile’, la preoccupazione per la perdita di controllo sulla quantità di cibo assunta.
Negli ultimi anni si sta utilizzando sempre di più anche un questionario specifico per il diabete, il “Diabetes Eating Problem Survey (DEPS)”, che include domande sulle abitudini alimentari, sul controllo del diabete, sull’omissione di insulina e su altri comportamenti quali, per esempio, l’induzione del vomito. Tramite l’utilizzo dei questionari è stato osservato che un quarto degli adolescenti con diabete tipo 1 è a rischio per un disturbo del comportamento alimentare. Tale rischio è strettamente legato alla presenza di segni e sintomi di sindrome ansiosa-depressiva, anch’essi valutabili con questionari e molto frequenti nelle persone con diabete tipo 1.
Come identificare segni e sintomi della Diabulimia per una diagnosi precoce e un intervento tempestivo? “E’ importante valutare il rischio di Diabulimia in particolare in alcune categorie di persone con diabete tipo 1. Quelle con cosiddetto “diabetes distress”. Cioè problemi psico-sociali legati al trattamento di una condizione che dura per tutta la vita, ansia e depressione e adolescenti, in particolare donne. Una volta individuate le persone a rischio, è possibile attivare incontri strutturati con psicologi, dietisti e diabetologi per identificare le persone con disturbi del comportamento alimentare già in atto. Avere una squadra multidisciplinare è necessario per il trattamento, ma, pochi centri ne sono forniti.”, conclude la dottoressa Vitale.
Parola d’ordine: prevenzione

Dobbiamo sottoporci a regolari controlli medici: gli esami, fatti per tempo, possono salvarci la vita. La parola d’ordine per sconfiggere ‘l’intruso’ è prevenzione. E dobbiamo farla tutti: uomini, donne, ragazzi, bambini.

Un regime alimentare sano rappresenta uno dei pilastri della prevenzione oncologica, soprattutto se abbinato ad uno stile di vita regolare, privo di fumo, con un consumo moderato di alcolici ed una costante attività fisica.
Contro lo stress ossidativo e la formazione di radicali liberi, responsabili di processi infiammatori e malattie degenerative, un contributo significativo è offerto dal consumo quotidiano di olio extravergine di oliva, ricco di sostanze polifenoliche antiossidanti e acido oleico che, secondo una revisione condotta da ben 45 studi scientifici, riduce del 31% i rischi di qualsiasi tipologia di tumore.
Per questo, la LILT – Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori – ed Unaprol, Consorzio Olivicolo Italiano hanno siglato un protocollo d’intesa finalizzato a promuovere il valore curativo dell’Olio EVO.
La parola d’ordine è prevenzione. Quella primaria, attraverso campagne informative, pubblicazioni di opuscoli, educazione sanitaria, interventi nelle scuole, eventi. Quella secondaria attraverso esami e controlli periodici effettuabili presso gli Spazi Prevenzione/Ambulatori delle Associazioni Provinciali. Quella terziaria, curando le problematiche che insorgono durante il percorso di vita di chi ha sviluppato un tumore attraverso pratiche quali l’assistenza domiciliare, la riabilitazione fisica e psichica e il reinserimento sociale e occupazionale del malato oncologico.

Con l’arrivo della primavera, come ogni anno, la LILT organizza la Settimana Nazionale per la Prevenzione Oncologica, che si terrà dal 16 al 24 marzo in tutte le maggiori piazze italiane per sensibilizzare i cittadini sull’importanza della dieta mediterranea ed in particolare dell’olio EVO, prodotto tipico italiano utile a prevenire l’insorgere anche di tumori.
La conferenza stampa di lancio della Settimana Nazionale della Prevenzione Oncologica si è tenuta il 13 marzo presso l’Auditorium del Ministero della Salute. Presenti il Ministro della Salute Prof. Orazio Schillaci, l’On. Francesco Lollobrigida, Ministro dell’Agricoltura, il Presidente Nazionale LILT Francesco Schittulli e David Granieri, Presidente UNAPROL.
In occasione della SNPO, le Associazioni LILT metteranno in offerta bottiglie d’olio italiano extra vergine d’oliva realizzato in collaborazione con Unaprol. Il ricavato sarà utilizzato per finanziare la prevenzione contro il cancro. Parallelamente alla Settimana Nazionale per la Prevenzione Oncologica,la LILT, dal 21 al 23 marzo, terrà la 1° edizione del Festival della Prevenzione. Tre giorni di talk con esperti, giornalisti e celebrity, workshop, eventi e visite gratuite. Per mettere al centro la prevenzione oncologica e ridurre l’impatto dei tumori sulle nostre vite, che si terrà a Milano.
Fatene un vostro mantra di vita: tenetelo bene a mente, consigliatelo a chi è scettico. La parola d’ordine deve essere prevenzione. Sempre.