Nanna neonati: consigli
La nanna neonati per alcuni neo genitori è un vero dramma. La maggior parte di loro lamenta mancanza di sonno con l’arrivo del bebè a casa. Alcuni consigli per far migliorare le cose tra le quattro mura li regala la dottoressa Jo Rammel. L’esperta di sonno inglese all’Huffpost spiega come agevolare la nanna nei neonati.
Tra i consigli c’è di non coprire troppo il piccolo, pensando possa sentire freddo: la temperatura giusta nella sua stanza deve aggirarsi tra i 16 e i 20 gradi. E’ possibile controllarla con un termometro appeso su una parete.
La nanna dei neonati deve partire da molte cose, anche dall’alimentazione. La dottoressa Jo Rammel dice ai genitori di inserire alimenti ricchi di triptofano a pranzo e a cena nelle pappe. “Questi alimenti supportano la produzione di serotonina, che poi si trasforma in melatonina e permette ai piccoli di dormire sonni tranquilli”, spiega. Vanno inseriti:
formaggio
uova
latte
pollo
pesce
avena
fagioli
lenticchie
broccoli
banane
spinaci
“La culla dovrebbe essere libera da cuscini, coperte e peluche”, dice l’esperta. I bambini così piccoli sono a rischio SIDS, infatti. Evitare anche borse dell’acqua calda o coperte elettriche. Per la nanna i neonati vanno anche aiutato con suoni rilassanti. Tra i consigli pure quello di portare i bimbi a fare lunghe passeggiate al sole se possibile: “L’esposizione ai raggi solari in un periodo come l’inverno, durante il quale si tende a tenere i bambini a casa è molto importante perché regola il loro orologio biologico”.
Sessualità da genitori
La sessualità cambia da genitori. Per far sì che la passione non si affievolisca e vada via via scomparendo, si possono mettere in pratica alcune strategie. Emmanuele A. Jannini, professore di Endocrinologia e Sessuologia Medica all’Università di Roma Tor Vergata, a Today dà dei consigli.
Il presidente dell’Accademia Italiana della Salute della Coppia sulla sessualità da genitori è molto pratico. Per far sì che tutto non si disgreghi dice: “Perché la dimensione di intimità possa somigliare molto a quella precedente, si devono mettere in atto due strategie fondamentali. Una di tipo preventivo. Un’altra di tipo terapeutico. Quella di tipo preventivo consiste nel fare sesso durante tutta la gravidanza fino a un’ora prima delle doglie. Se non ci sono minacce d’aborto o rare condizioni a rischio che il ginecologo esperto saprà riconoscere. Questo è un modo molto intelligente, molto giusto, molto adatto per conservare quel meccanismo di intimità che altrimenti la coppia perderebbe per 9 mesi e oltre, considerando il puerperio. E’ molto più facile che le cose vadano bene dopo il parto se si è prevenuto il distacco”.
“La terapia, invece, consiste nel collocare il papà e la mamma sullo stesso piano nei confronti del figlio, in un triangolo amoroso dove i genitori amano il figlio prima di tutto come genitori, come coppia, e poi come singoli. Una sorta di processo mentale che faccia capire che non ci deve essere un rapporto esclusivo mamma-figlio o papà-figlio ma genitori-figlio. Un lavoro difficile soprattutto per la mamma che tende ad avere molto facilmente un rapporto privilegiato con il figlio, ma che deve imparare a collocarsi in una posizione paritaria con l’altro membro della coppia”, aggiunge.
E continua: “Questo lavoro di astrazione mentale è estremamente importante per la coppia ma ancor più per il figlio stesso. Così impara il prima possibile ad essere un’entità altra che ha di fronte a sé un’unità d’amore costituita da due genitori. Il figlio sarà più sano dal punto di vista emotivo, sentimentale, e in futuro anche sessuale, quanto più avrà compreso di avere di fronte a sé una coppia, non un papà e una mamma”.
“Dal piano cognitivo passiamo al piano pratico. Ove sia possibile, la rimozione della culla dal talamo è la cosa da fare il più precocemente possibile. Prima avviene, meglio è. Dopo i primi tre mesi è raccomandato spostare la culla dalla camera da letto, quando il bambino ancora non è nelle condizioni di poter protestare. E’ un passo importante da compiere sia per il bambino, che dopo un po’ di spavento imparerà a dormire da solo, sia per la coppia. Il bambino deve capire, ancora prima di poter capire, di essere una terza persona. E non un simbionte della madre, ma, appunto, un figlio. Studi dimostrano che questo passaggio facilita nel bimbo, soprattutto se è maschio, il suo sviluppo psico-sessuale”, precisa ancora, sempre in riferimento alla sessualità da genitori.
La Buona Nascita
Lei si definisce “ostetrica innamorata delle donne e del femminile. Ibclc, consulente babywearing. Esperta in gravidanza e post partum” se si va a guardare il suo profilo Instagram, dove parla di bambini che vengono al mondo e si racconta. La sua esperienza Arianna Ciucci ora l’ha messa per iscritto con La Buona Nascita – Come scoprirsi genitori giorno dopo giorno, un libro edito da San Paolo.
“Talvolta nella vita accadono cose inaspettate che ti rendi conto essere un’occasione unica e un dono. E’ quello che mi è successo in quest’anno. Una proposta , una sfida, un’avventura: scrivere un libro. ‘Io un libro? Ne sarò capace? Avrò argomenti interessanti da proporre? Caspita, forse è più semplice far nascere un bimbo!’. Sono solo, questi, alcuni dei timori che hanno assalito la mia mente all’inizio di questa avventura Poi, delle ottime compagne di viaggio, mi hanno aiutato a far emergere il cuore e la mente dell’ostetrica, della donna e della madre che sono. E così, pagina dopo pagina, è nato ‘La Buona Nascita. Come scoprirsi genitori giorno dopo giorno’”, racconta in un post.
“Un libro che sa di relazioni che nascono, di pelle e corpi che parlano, di mani e di sguardi che si incontrano – continua l’autrice – Un libro che ha il sapore della meraviglia ma anche della fatica e della crisi. Non un manuale di istruzioni…ne abbiamo fin troppi, ma un libro che invita a prendersi un tempo di riflessione, di crescita, di ascolto e che rimette al centro le persone con le proprie sensazioni ed emozioni. Un libro che sa di vita che passa e che fa nascere. In tutte le librerie dal 29 ottobre”.
La Ciucci è una vera professionista. Nella sua biografia si legge: “da sempre innamorata della maternità e della cura della madre, si è diplomata in ostetricia nel 1992. Per 26 anni ha svolto la professione in una grande maternità di Milano. Dal 2018 è responsabile ostetrica dell’Associazione GEPO, dove dirige anche l’Ambulatorio Allattamento, uno spazio sempre aperto per supportare le mamme e i bebè durante l’allattamento. E’ anche mamma di tre figli, infermiera, consulente allattamento certificata IBCLC, consulente babywearing e insegnante di massaggio neonatale”.
La Buona Nascita è un libro che aiuterà i neo genitori a capire. E farà lo stesso anche con cui i figli già ce li ha. “Come affrontare l’arrivo di un figlio al giorno d’oggi? Come pensare a una Buona Nascita? Cosa serve per recuperare quegli aspetti più caratteristici, fisiologici, storici e umani che la nascita di un figlio porta con sé? Senza edulcorare i racconti, senza diluire le riflessioni, crediamo che sia necessario avere il coraggio di prendere posizione su cosa voglia dire l’attesa, il dare alla luce, l’essere genitori, sul fatto che non esistono scorciatoie per fare meglio le cose, su come si possa sempre cambiare rotta, leggere la propria storia e assumere un ruolo importantissimo verso i propri figli e verso la società”, si legge nella sinossi.
E ancora: “In questo libro, narrativo e non manualistico, completo di storie reali e spunti concreti, si vogliono accompagnare le donne e i loro partner nella scoperta – e nella ri-scoperta – del percorso della gravidanza, mettendo in luce le ambivalenze, raccontando ciò che ci si aspetta non venga taciuto, affrontando cosa bisognerebbe socializzare di questa esperienza”.
“Un libro che propone la Buona Nascita come il modo per poter avviare il più bel percorso che si possa fare: quello di una vita insieme. Perché se tutta la gravidanza è una storia, un percorso ‘in relazione’ e ‘di relazioni’, allora non possiamo affidarci solo all’esperienza scientifica. Ma dobbiamo recuperare il ruolo del partner, dei fratelli, della rete, del villaggio, del bambino stesso che stiamo aspettando. E quindi la relazione con noi stesse. Per rimettere al centro la persona, con il suo peso specifico di essere, di bisogni, di sensazioni, di emozioni. Di vita che passa e che fa nascere”, si conclude.
Se rimanda i compiti
Se tuo figlio rimanda sempre i compiti da fare è perché ha scarsa autostima. Lo dice la dottoressa Fiona Yassin sulle pagine del Mirror.
Quante volte noi mamme (e anche i papà) ci arrabbiamo se nostro figlio rimanda i compiti? Questa situazione, però, potrebbe celare un malessere del bambino o del ragazzo. “I ragazzi, soprattutto durante l’adolescenza hanno meno autostima e di conseguenza, temendo di non essere in grado di concludere bene un compito o una sessione di studio, finiscono per evitarlo o ritardarlo il più possibile”, spiega l’esperta.
Le altre motivazione se rimanda i compiti sarebbero la scarsa motivazione allo studio, l’eccessiva pressione dei genitori e il voler pretendere troppo da loro stessi. “Non serve porre un’asticella troppo alta ai nostri figli, essere sempre molto critici e pretendere ogni giorno un voto più alto o risultati migliori da loro, perché questo potrebbe spingerli ad avere manie di perfezionismo”, dice la Yassin. “I ragazzi rischiano a questo punto di essere così demotivati da non dare importanza o priorità ai compiti”, precisa la dottoressa.
Se il problema fosse quello di autostima, è opportuno verificare quanto sia grave, e, nel caso, chiedere anche consiglio a un terapista. E’ sempre meglio agire che rimanere a guardare inerti.
Figli adolescenti in vacanza
Viaggiare con i bambini è ok, ma quando i piccoli crescono aumenta lo stress per i figli adolescenti in vacanza. Posso assicurarlo, dato che la mia 17enne prima si è concessa una settimana con le amiche in Salento e ora è a New York, anche se per lo studio della danza, tutta sola.
Come gestire i figli adolescenti in vacanza? I ragazzi spesso non chiamano o no rispondono al cellulare. Fanno le ore piccole, vanno al mare tardi, hanno la suoneria del telefono quasi sempre silenziata. Spesso comunicano solo con Whatsapp e non genitori ci imbufaliamo con loro…
Roberto Ausilio, psicoterapeuta EMDR, spiega come gestire i figli adolescenti in vacanza a Vanity Fair. “Molti ragazzi escogitano dei sistemi per non farsi controllare sui social o telefonicamente, nel tentativo di prendere autonomia e a volte per desiderio di trasgressione – dice lo Psicologo della Salute e Formatore – La cosa importante è che il genitore stabilisca a priori, soprattutto in caso di partenza per le vacanze, alcune regole di base. Una chiamata al giorno in orario serale, in modo da rendere tranquilli tutti, a patto però che, se questo è l’accordo, le telefonate o i messaggi non siano eccessivi. Lasciando lo spazio al figlio per sperimentare la lontananza da casa”.
“Essere un po’ in ansia è assolutamente normale in questi casi. – chiarisce l’esperto – La cosa più utile è spiegare cosa si prova senza però scaricare le proprie frustrazioni. Anzi, occorre che il genitore nonostante tutto, dimostri la propria fiducia sulle capacità del figlio di cavarsela. L’ansia insomma va gestita, riconosciuta e canalizzata. Una soluzione possibile potrebbe essere che, per un determinato lasso temporale come ad esempio il periodo di un viaggio, i ragazzi rendano visibile i loro accessi alla messaggistica telefonica”.
“Gli orari di rientro devono essere chiari. Così come i comportamenti che un genitore si aspetta dal proprio figlio. Sono utili frasi del tipo: ‘Mi aspetto che rientri massimo alle ore 2 e che se dovessi fare ritardo, per qualsiasi motivo, mi avvisi’. Stessa cosa dicasi per i comportamenti in gruppo con espressioni del tipo: ‘Mi aspetto che, prima di fare qualcosa insieme agli altri, ti chieda: lo farei se fossi da solo? Mi aspetto che non ti lasci trascinare in comportamenti illegali’”, sottolinea ancora Ausilio.
E conclude: “E’ fuorviante pensare che ci sia un unico comportamento giusto o miracoloso. Occorre, come genitori, impegnarci a migliorare ogni giorno. Con una adeguata formazione e dandoci la possibilità anche di sbagliare. Creando pian piano un rapporto di fiducia e rispetto reciproco. Così come è giusto che i ragazzi abbiano i loro spazi e le loro libertà è altrettanto vero che i ragazzi imparino a gestire i propri spazi, rispettando le preoccupazioni dei propri genitori. Preoccupazioni che però non devono sconfinare in un eccessivo controllo. I figli, è bene ricordarlo, per crescere e diventare degli adulti migliori, hanno bisogno di autonomia”.
Metteresti tuo figlio per strada?
“Metteresti tuo figlio per strada?”. La domanda provocatoria arriva dagli studenti dell’Istituto Europeo di Design di Roma, che mettono in guardia i genitori sui rischi dello Sharenting, ossia l’esposizione indiscriminata (e poco pensata) di minori sul web. “Quello che i genitori considerano un ricordo può diventare una fonte di informazioni sensibili per altri”, si sottolinea.
Gli studenti hanno pensato a esporre tantissime immagini di bimbi per le vie del centro della Capitale. L’iniziativa si chiama Cornici private. Gli scatti immortalano bambini che in realtà non esistono, creati grazie all’intelligenza artificiale. I ragazzi vogliono sensibilizzare le madri e i padri, che non smettono un attimo di condividere scatti dei pargoli di casa. Gli esperti da tempo sottolineano i pericoli riguardanti la privacy e la sicurezza dei minori. In Rete tutto rimane, infatti, e quel che si pubblica senza rifletterci poi troppo, potrebbe anche influenzare la vita futura di questi bambini. La domanda perciò è lecita: “metteresti tuo figlio per strada?”.
Per la tutela dei minori sul web è stata depositata alla Camera una proposta di legge che, se sarà approvata, porrà un argine netto alla possibilità dei genitori di pubblicare foto e video dei figli che, al compimento dei 14 anni, potranno addirittura richiedere l’oblio digitale, cioè la cancellazione di tutto quel che li riguarda dal web.
La singolare mostra degli studenti ha uno scopo preciso. “Mira a promuovere una maggiore consapevolezza nell’uso dei social media, perché ciò che i genitori considerano un ricordo può diventare una fonte di informazioni sensibili per altri”, spiegano Giorgia, Costanza, Francesca, Giorgia e Daniele a La Repubblica. Domandiamocelo tutti: metteresti tuo figlio per strada?
Bambini: troppi compiti
Troppi compiti a casa. Nella scuola “San Pompilio Maria Pirrotti” di Campi Salentina, facente parte dell’Istituto comprensivo “Teresa Sarti” i genitori sono insorti contro i docenti. Le tante assegnazioni a casa impedirebbero ai bambini di poter svolgere attività extrascolastiche, costringendoli a casa l’intero pomeriggio e non solo.
Non è la prima volta ci si affronta lo spinoso problema dei troppi compiti assegnati ai bambini. “Vengono letteralmente oberati dai compiti – affermano alcuni genitori a Leggo – tanto che ci sono giorni in cui i nostri figli non riescono a staccare nemmeno per pochi minuti la mente dai libri, talmente tante sono le materie da preparare”.
“Se consideriamo l’orario scolastico, che comprende sei ore, dalle 8 alle 14, possiamo capire quanto sia già pesante di suo. I ragazzi quindi, appena tornati a casa, hanno solo il tempo di mangiare per poi mettersi subito a studiare. Certamente non è questo il dato che più ci preoccupa, quanto che, come detto, i compiti che i professori assegnano per il pomeriggio sono tanti e comprendono molteplici materie. Tutto questo comporta la conseguenza che spesso i nostri figli non riescono a ritagliarsi il tempo per svolgere tutte quelle attività extrascolastiche fondamentali per la loro crescita ed il loro sviluppo”, precisano.
“Ci sono giorni – dicono ancora le mamme e i papà – che iniziano i compiti subito dopo il pranzo e vanno vanti fino a sera, a volte anche alle 22. E’ chiaro che la loro attenzione non può mantenersi sempre lucida e costante per tutto quel tempo. Da qui la necessità appunto di frequentare o praticare discipline artistiche o sportive che li aiutino in questa età particolare che stanno attraversando. Ma con tutto quello che devono studiare a casa, questi spazi di svago e ricreativi non riescono a viverli”.
La dirigente si auspica una serena collaborazione tra genitori e docenti. Intanto i primi fanno sapere: “Una problematica che abbiamo più volte rappresentato sia alla dirigente scolastica sia agli stessi professori. Senza ottenere però nessun riscontro che vada incontro alle sacrosante esigenze degli studenti. Alcuni di noi genitori hanno anche inviato un pec alla dirigenza dell’istituto comprensivo con allegata una circolare ministeriale. Si fa specifico riferimento all’assegnazione dei compiti per casa, con espresso invito agli insegnanti di non esagerare con il carico di lavoro. Ed invece noi assistiamo all’esatto contrario. Ogni professore che si comporta come se la sua materia sia l’unica da studiare, per cui ognuno assegna compiti abbastanza impegnativi, senza considerare che i ragazzi, a casa, ovviamente devono preparare tante materie per l’indomani”. I troppi compiti ai bambini fanno discutere. Voi che ne pensate?
Bambini social
Dobbiamo riflettere. I bambini sono social sin dalla nascita ormai. Noi adulti pubblichiamo le loro foto da quando nascono fino a quando diventano adolescenti e oltre. Sono i nostri figli. E’ vero, ma non sono nostra proprietà. Noi decidiamo che diventino social loro malgrado.
L’Unità nella rubrica “Bambini social – Un giorno questo like diventerà tuo” pubblica il contributo di esperti su un tema assai caldo: l’opportunità di postare le foto dei nostri piccoli sul web, creando così, a loro insaputa un’identità social che rimarrà in eterno.
La psicologa e psicoterapeuta Simona Piemontese a tal proposito, con le sue parole sui bambini social, fa davvero pensare. “Il bisogno di condividere le foto dei nostri figli è, evidentemente, un bisogno nostro. Certamente non loro. Senza assolutamente demonizzare la condivisione sui social tout court, ci dovremmo chiedere ‘perché lo facciamo?’, ‘che senso attribuiamo a ciò?’. I motivi sono i più disparati. Tanti like, rinforzano positivamente chi li riceve, gratificano. Mostrano che genitore sono. Mi avvicinano a chi è lontano. Rendono l’immagine di me che voglio dare al mondo, per quanto questa possa essere magari lontanissima dalla realtà. Potremmo continuare ma vorrei soffermarmi sul bambino”, spiega.
“Un figlio, soprattutto piccolo, potrebbe, un giorno, non gradire quelle foto postate sui social. Se penso alle foto della mia infanzia, negli anni ‘80, con vestiti improbabili, tagli di capelli improbabili, da adolescente non avrei gradito vederle su Facebook. Oggi sono adulta e sono capace di riderci su, attrezzata per farlo. I nostri figli, oggi piccoli ma domani adolescenti, lo saranno? In un’epoca dove tutto è osservato, dove tutto è potenzialmente oggetto di commenti, cosa accadrà?”, sottolinea ancora la Piemontese.
“Non voglio pensare, per forza, a scenari drammatici, seppure possibili, in cui foto private o condivise con pochi amici, finiscano in mani sbagliate. Penso soltanto a un concetto di privato, di intimo, su cui, postando una foto di mio figlio, sto facendo una scelta che lo riguarda ma su cui lui non ha scelta. Quella foto non sarà più privata, quel ricordo non sarà più intimo. Sono io che scelgo per lui. Scelgo per lui un’identità ‘social’ che, come sappiamo, è pressoché eterna. Allo stato, non disponiamo di dati sostanziali. Nonostante il fenomeno sia molto studiato, è troppo recente per comprenderne appieno la portata. Ma lo sguardo che ho sulla adolescenza, attraverso la mia professione, mi porta a pensare che i nostri ragazzi non sono sempre così felici di ritrovarsi in rete, attraverso gli occhi dei genitori”, continua l’esperta.
“Hanno bisogno di costruire la loro identità, anche quella virtuale. E hanno bisogno di farlo seguendo le loro inclinazioni che potrebbero non corrispondere alle nostre. Hanno bisogno di declinarsi per come sono oggi, e non già per la storia ‘digitale’ che abbiamo creato noi per loro. La costruzione dell’identità è un tema così complesso, travagliato, anch’esso così intimo che necessita di delicatezza e attenzione. Così come i loro genitori che hanno bisogno di ‘postare’ foto per riceverne feedback, gli adolescenti hanno bisogno di presentarsi al mondo e sperimentarne la risonanza. Vorrei che fossero liberi. Liberi di decidere chi sono, chi vogliono essere con ciò che abbiamo costruito assieme a loro con fatica, che certamente è più dei like su un social”, prosegue.
“Altrettanta importanza andrebbe data, anche, all’aspetto sociale di questo tema per gli adolescenti: il bisogno di accettazione dei pari, la paura di essere valutati negativamente, di ricevere commenti negativi fino al timore di essere vittime di bullismo o cyber bullismo. Timori, oggi più che mai, attuali”, chiarisce la psicologa.
“In sostanza, credo che sia necessaria molta più attenzione e consapevolezza da parte dei genitori, rispetto a qualcosa di molto più complesso di una semplice foto lasciata sui social. Consapevolezza rispetto alla costruzione dell’identità digitale che stiamo fornendo ai nostri figli attraverso la loro esposizione su un social. Consapevolezza che stiamo facendo una scelta per loro, ma che potrebbero, un giorno, non condividere. Forse dovremmo chiederci cosa significhi un like e se ci possa essere un’eredità. Potremmo riflettere su chi i nostri bambini e i nostri adolescenti vedano avere tanti like. Spesso a personaggi di ben poco spessore”, infine conclude la Piemontesi.