Bambini social
Dobbiamo riflettere. I bambini sono social sin dalla nascita ormai. Noi adulti pubblichiamo le loro foto da quando nascono fino a quando diventano adolescenti e oltre. Sono i nostri figli. E’ vero, ma non sono nostra proprietà. Noi decidiamo che diventino social loro malgrado.
L’Unità nella rubrica “Bambini social – Un giorno questo like diventerà tuo” pubblica il contributo di esperti su un tema assai caldo: l’opportunità di postare le foto dei nostri piccoli sul web, creando così, a loro insaputa un’identità social che rimarrà in eterno.
La psicologa e psicoterapeuta Simona Piemontese a tal proposito, con le sue parole sui bambini social, fa davvero pensare. “Il bisogno di condividere le foto dei nostri figli è, evidentemente, un bisogno nostro. Certamente non loro. Senza assolutamente demonizzare la condivisione sui social tout court, ci dovremmo chiedere ‘perché lo facciamo?’, ‘che senso attribuiamo a ciò?’. I motivi sono i più disparati. Tanti like, rinforzano positivamente chi li riceve, gratificano. Mostrano che genitore sono. Mi avvicinano a chi è lontano. Rendono l’immagine di me che voglio dare al mondo, per quanto questa possa essere magari lontanissima dalla realtà. Potremmo continuare ma vorrei soffermarmi sul bambino”, spiega.
“Un figlio, soprattutto piccolo, potrebbe, un giorno, non gradire quelle foto postate sui social. Se penso alle foto della mia infanzia, negli anni ‘80, con vestiti improbabili, tagli di capelli improbabili, da adolescente non avrei gradito vederle su Facebook. Oggi sono adulta e sono capace di riderci su, attrezzata per farlo. I nostri figli, oggi piccoli ma domani adolescenti, lo saranno? In un’epoca dove tutto è osservato, dove tutto è potenzialmente oggetto di commenti, cosa accadrà?”, sottolinea ancora la Piemontese.
“Non voglio pensare, per forza, a scenari drammatici, seppure possibili, in cui foto private o condivise con pochi amici, finiscano in mani sbagliate. Penso soltanto a un concetto di privato, di intimo, su cui, postando una foto di mio figlio, sto facendo una scelta che lo riguarda ma su cui lui non ha scelta. Quella foto non sarà più privata, quel ricordo non sarà più intimo. Sono io che scelgo per lui. Scelgo per lui un’identità ‘social’ che, come sappiamo, è pressoché eterna. Allo stato, non disponiamo di dati sostanziali. Nonostante il fenomeno sia molto studiato, è troppo recente per comprenderne appieno la portata. Ma lo sguardo che ho sulla adolescenza, attraverso la mia professione, mi porta a pensare che i nostri ragazzi non sono sempre così felici di ritrovarsi in rete, attraverso gli occhi dei genitori”, continua l’esperta.
“Hanno bisogno di costruire la loro identità, anche quella virtuale. E hanno bisogno di farlo seguendo le loro inclinazioni che potrebbero non corrispondere alle nostre. Hanno bisogno di declinarsi per come sono oggi, e non già per la storia ‘digitale’ che abbiamo creato noi per loro. La costruzione dell’identità è un tema così complesso, travagliato, anch’esso così intimo che necessita di delicatezza e attenzione. Così come i loro genitori che hanno bisogno di ‘postare’ foto per riceverne feedback, gli adolescenti hanno bisogno di presentarsi al mondo e sperimentarne la risonanza. Vorrei che fossero liberi. Liberi di decidere chi sono, chi vogliono essere con ciò che abbiamo costruito assieme a loro con fatica, che certamente è più dei like su un social”, prosegue.
“Altrettanta importanza andrebbe data, anche, all’aspetto sociale di questo tema per gli adolescenti: il bisogno di accettazione dei pari, la paura di essere valutati negativamente, di ricevere commenti negativi fino al timore di essere vittime di bullismo o cyber bullismo. Timori, oggi più che mai, attuali”, chiarisce la psicologa.
“In sostanza, credo che sia necessaria molta più attenzione e consapevolezza da parte dei genitori, rispetto a qualcosa di molto più complesso di una semplice foto lasciata sui social. Consapevolezza rispetto alla costruzione dell’identità digitale che stiamo fornendo ai nostri figli attraverso la loro esposizione su un social. Consapevolezza che stiamo facendo una scelta per loro, ma che potrebbero, un giorno, non condividere. Forse dovremmo chiederci cosa significhi un like e se ci possa essere un’eredità. Potremmo riflettere su chi i nostri bambini e i nostri adolescenti vedano avere tanti like. Spesso a personaggi di ben poco spessore”, infine conclude la Piemontesi.