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Sepsi neonatale causa 800mila decessi l’anno

Set 11
Scritto da Annamaria avatar

Sono dati che fanno male: la sepsi neonatale causa circa 800mila decessi l’anno. La sepsi è una condizione potenzialmente letale caratterizzata da una risposta infiammatoria sistemica causata da un’infezione. Può rapidamente evolvere in disfunzione multiorgano e morte. Colpisce circa 49 milioni di persone, con 11 milioni di decessi all’anno a livello mondiale, portando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a identificarla come una priorità sanitaria globale. Ogni anno, il 13 settembre, si celebra la Giornata Mondiale contro la sepsi (World Sepsis Day), con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla gravità di questa patologia, spesso poco conosciuta.

sepsi neonatale

La mortalità da sepsi è spesso legata a misure di prevenzione delle infezioni inadeguate, diagnosi tardiva e gestione clinica inappropriata.  Il periodo neonatale presenta il rischio di sepsi più alto nell’arco della vita. E, di conseguenza, comporta un enorme carico medico, sociale ed economico a livello globale. Questa condizione, comunemente definita da una coltura microbica positiva in un paziente sintomatico, rimane una sfida considerevole a livello globale e, insieme alla nascita pretermine, è responsabile del maggior numero di decessi nel primo mese di vita. Ogni anno si stima che ci siano tra 3,9 e 5 milioni di casi di sepsi neonatale a livello globale. Causa circa 800mila decessi l’anno, a seconda dello studio. Tuttavia, le stime globali dell’incidenza e della mortalità sono spesso incerte a causa della mancanza di dati accurati e di sistemi di sorveglianza robusti, specialmente nei paesi a basso e medio reddito.

Anche se la sopravvivenza dei neonati pretermine e/o di basso peso alla nascita è nettamente migliorata nel tempo, questa popolazione necessita spesso di cure ospedaliere. Questo li espone a nuovi rischi infettivi sotto forma di infezioni acquisite in ospedale (hospital-acquired infections HAI). Infatti, un recente studio di coorte ha evidenziato che tra la popolazione neonatale ospedalizzata i tassi di sepsi sono più di sette volte superiori. Nelle unità di Terapia Intensiva Neonatale, più della metà delle HAI risultano essere sepsi acquisite in ambito ospedaliero (hospital-acquired sepsis HAS) responsabili di un aumento della mortalità del 5.5% nei neonati ospedalizzati affetti rispetto ai neonati con le stesse caratteristiche ma senza HAS. 

Inoltre, la sepsi causata dalle cure sanitarie è associata a una degenza ospedaliera più lunga e a tassi di resistenza antimicrobica più elevati rispetto alla sepsi acquisita in comunità. Più della metà di tutti i casi di HAS sono, tuttavia, prevenibili attraverso misure appropriate di prevenzione e controllo delle infezioni.

In base al timing dell’infezione, la sepsi neonatale è stata classificata in sepsi ad esordio precoce (EOS – con esordio nelle prime 72 ore dalla nascita) e sepsi ad esordio tardivo (LOS – con esordio dopo i primi 3 giorni dalla nascita). Questa classificazione implica differenze nella modalità di trasmissione prevista e nei microrganismi patogeni predominanti. L’EOS è generalmente causata da trasmissione verticale dalle madri ai neonati durante il periodo intrapartum. Mentre la LOS è causata da trasmissione orizzontale postnatale, principalmente da microrganismi acquisiti dopo la nascita. Una recente revisione sistematica e metanalisi degli studi epidemiologici sulla sepsi neonatale ha riportato che la EOS è 2,6 volte più comune della LOS.

L’incidenza delle due forme di sepsi neonatale varia ampiamente tra diverse aree geografiche e gruppi di popolazione. Nei paesi sviluppati, l’incidenza della EOS è stimata intorno a 0,5-1 casi per 1.000 nati vivi e fino a 13.5 per 1.000 nati tra i pretermine, mentre la LOS, più comune tra i neonati ricoverati in UTIN, presenta tassi che possono superare gli 88 casi per 1.000 neonati ad alto rischio. Nei paesi a basso e medio reddito, l’incidenza è significativamente più elevata a causa di fattori come l’alta prevalenza di nascite pretermine, condizioni igieniche inadeguate e limitato accesso a cure prenatali e perinatali di qualità.

L’eziologia della sepsi neonatale è cambiata negli ultimi decenni a causa dell’aumento della resistenza antimicrobica, della disponibilità di tecnologie per diagnosticare le infezioni e guidare il trattamento e dell’utilizzo di dispositivi sanitari invasivi che aumentano il rischio di infezioni associate all’assistenza sanitaria. La sepsi neonatale causata da batteri Gram-negativi resistenti agli antibiotici è responsabile di circa il 30% dei decessi neonatali dovuti a sepsi.

La prognosi dipende dal riconoscimento precoce e dal trattamento appropriato, sebbene i segni e i sintomi siano spesso aspecifici e possano sovrapporsi a quelli di altre condizioni gravi. La prevenzione della sepsi neonatale si concentra principalmente sull’implementazione di misure efficaci di controllo delle infezioni e sulla gestione appropriata delle cure prenatali e perinatali. La prevenzione della EOS include lo screening materno per lo Streptococco di gruppo B durante la gravidanza e la somministrazione di antibiotici profilattici alle donne a rischio durante il parto. 

Le misure preventive contro la LOS includono pratiche igieniche rigorose, la gestione sicura dei dispositivi invasivi e la promozione dell’allattamento al seno, che può fornire immunità passiva contro molte infezioni. Una componente critica della prevenzione è anche il miglioramento della formazione del personale sanitario nelle unità neonatali, insieme all’implementazione di protocolli standardizzati di controllo delle infezioni.

Nonostante i progressi nella gestione e prevenzione, la sepsi neonatale rimane una sfida significativa. Le limitazioni nella diagnosi rapida, l’aumento della resistenza antimicrobica e la carenza di dati epidemiologici accurati continuano a ostacolare gli sforzi globali per ridurre l’incidenza e la mortalità. L’adozione di nuove tecnologie diagnostiche, l’investimento in ricerca per nuovi trattamenti e vaccini e il miglioramento dei sistemi di sorveglianza sono essenziali per affrontare questa sfida.

Kangaroo Care riduce mortalità

Mag 14
Scritto da Annamaria avatar

La Kangaroo Care riduce la mortalità dei nati pretermine e le infezioni. La SIN è impegnata da sempre in prima linea per la più ampia diffusione in tutti i punti nascita italiani di questa cura essenziale in particolare per i neonati prematuri.

“La Kangaroo Care è una delle misure più efficaci che possono essere adottate per migliorare le prospettive di sopravvivenza dei bambini nati prematuri o di basso peso. Questo in tutti i contesti, nei paesi ad alto e basso reddito”. Questo è quanto affermato dall’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS) nel Global Position Paper dal titolo: “KMC A trasformative innovation in neonatal health care”.

In occasione della Giornata Mondiale della Kangaroo Care, che, come ogni anno, si celebra il 15 maggio, la Società Italiana di Neonatologia (SIN) ribadisce l’importanza di questa attività. E il suo impegno nel promuovere, insieme con le associazioni dei genitori, le strategie di implementazione. E tutte le modalità operative per il corretto svolgimento di questa cura. Sostiene la sua più ampia diffusione presso tutti i punti nascita in Italia.

E’ un vero e proprio metodo di cura, che si realizza attraverso il contatto pelle-a-pelle, tra mamma/papà e neonato, continuo e prolungato. Va da 8 a 24 ore al giorno, per quante più ore possibile. Va iniziato immediatamente dopo il parto, o quando le condizioni cliniche del neonato lo consentono. L ’OMS raccomanda fortemente la KC per tutti i neonati pretermine o di basso peso come cura di routine e l’inizio il prima possibile dopo la nascita. 

Secondo le più recenti evidenze e numerose revisioni della letteratura, la Kangaroo Care, iniziata in ospedale o a casa, riduce la mortalità durante il ricovero alla nascita o a 28 giorni di età. Probabilmente, riduce le infezioni gravi tra i neonati pretermine e di basso peso alla nascita. La KC, inoltre, comporta maggiori benefici, a medio e lungo termine, se dura almeno 8 ore al giorno. E se viene iniziata quanto prima possibile. 

Ormai diversi studi sostengono che la KC deve essere inserita nei bundle di miglioramento assistenziale e di outcome dei neonati prematuri per il livello di impatto a breve e lungo termine che essa ha.

Nonostante i suoi comprovati benefici, le esperienze dirette di alcuni ospedali mostrano una grande variabilità nell’inizio della Kangaroo Care. E spesso difficoltà logistiche e professionali nell’eseguirla. Soprattutto nei neonati pretermine. Per i neonati prematuri, infatti, è fattibile anche prima della stabilizzazione. Ma richiede formazione professionale, adattamento degli spazi e attrezzature per la rianimazione.

Tutto questo non può che confermare la necessità di un ulteriore impegno non solo per la promozione culturale e organizzativa dei punti nascita. Ma anche nel promuovere azioni concrete presso i decisori delle politiche sanitarie, affinché la KC venga considerata una attività di cura essenziale tra gli standard di cura per tutti i neonati e per le loro famiglie.

“Purtroppo, sappiamo di casi di Terapie Intensive Neonatali che ancora impongono limitazioni di orari per l’accesso ai genitori. Addirittura alcune solo poche ore al giorno – afferma il presidente SIN Luigi Orfeo – Da anni sosteniamo l’apertura h24 delle TIN. E il diritto di tutti i genitori di poter stare accanto al proprio figlio ricoverato per tutto il tempo che lo desiderano. I genitori sono parte integrante della cura e la kangaroo care ne è una dimostrazione concreta”.

Il Gruppo di Studio della Care neonatale della SIN ha messo a disposizione di tutte le TIN italiane il documentoKangaroo Care – Le Indicazioni nazionali della SIN”. Ci sono all’interno precise istruzioni per una corretta e sicura implementazione di questa importante pratica. Riduce la mortalità e le infezioni: è importantissima.