Mangiare pesce in gravidanza aiuta a prevenire autismo
Mangiare pesce fa bene a tutti, è bene sottolinearlo ancora una volta. Uno studio per di più evidenzia che in gravidanza aiuta a prevenire l’autismo, ridurrebbe il rischio di ben il 20%.
Le donne incinta devono saperlo: l’alimentazione sana è uno dei pilastri fondamentali per prevenire le malattie e avere un corpo sano. E, in questo caso, regalarlo pure al proprio bebè.
Mangiare pesce in gravidanza aiuta a prevenire l’autismo. Lo sostiene uno studio fatto dal programma del progetto Echo (Environmental influences on Child Health Outcomes) del National Institutes of Health americano. La ricerca è stata pubblicata di recente su una rivista internazionale: l’American Journal of Clinical Nutrition. L’introduzione di pesce nella dieta della donna incinta consentirebbe di favorire lo sviluppo neurocognitivo del feto e quindi ridurrebbe i rischi di disturbi dello spettro autistico.
Gli acidi grassi omega-3 di cui il pesce è ricco possono influire sul feto e sulla sua crescita. Lo studio è stata eseguito su 4000 donne in gestazione. Come scrive il Corriere della Sera, “i ricercatori hanno preso in esame il consumo di pesce e l’uso di integratori di omega-3 da parte di queste donne. Il tutto dopo aver suddiviso il campione in quattro diversi gruppi di controllo. La creazione dei gruppi è stata guidata dalla frequenza di consumo di pesce da parte delle donne”.
“In un gruppo sono state inserite le donne che lo mangiavano meno di una volta al mese. Nell’altro coloro che lo consumavano più di una volta al mese ma meno di una volta alla settimana. Un terzo gruppo comprendeva chi almeno una volta alla settimana sceglieva il pesce. Mentre il quarto le signore che lo mettevano a tavola due o più volte a settimana. Nel campione solo un 20% non aveva l’abitudine di mangiare pesce o di assumere integratori di omega-3 o olio di pesce”.
Dopo la nascita dei bimbi, i ricercatori rivolgendosi alle mamme dei diversi gruppi, hanno ricavato i tratti comportamentali legati all’autismo attraverso la Social Responsiveness Scale (SRS). I risultati sono stati chiari. Mangiare pesce in gravidanza era effettivamente associato aiuta a prevenire l’autismo. Secondo gli esperti, però, solo il pesce fresco aveva un effetto, mentre assumere gli omega-3 non dava alcun risultato positivo.
Bambini più intelligenti con 3 abitudini
Con 3 semplici abitudini si possono avere bambini più intelligenti. Lo dice Alireza Khadem, che con i suoi collaboratori ha sviluppato uno studio in cui si mostra come con alcuni accorgimenti si possa avere bambini più intelligenti. I risultato sono stati pubblicati sul Journal of Health, Population and Nutrition.
Sono diversi i fattori che influenzano l’intelligenza di una persona. Partendo da questo la Khadem ha identificato 3 sane abitudini per far crescere bambini più intelligenti. Come scrive La Gazzetta dello Sport, che riporta la notizia, “l’alimentazione ha un ruolo cruciale nello sviluppo cognitivo del bambino fin dai primi momenti della vita. Analizzando i dati di oltre 20 studi emerge come esista un collegamento tra intelligenza e allattamento al seno. I bambini che sono stati allattati hanno in media un quoziente intellettivo più alto di 3.16 rispetto ai coetanei che sono stati allattati meno”.
“La scelta qualitativa e quantitativa dei nutrienti che assume il bambino è fondamentale per lo sviluppo dell’intelligenza. Soprattutto in età scolare e prescolare. Facendo una correlazione tra il QI di bambini di 8 anni e i loro comportamenti alimentari è emerso che una buona dieta è legata a un maggiore QI. Bambini che da 3 anni avevano una dieta ricca di grassi e zuccheri avevano QI inferiori rispetto a chi seguiva un’alimentazione sana. Iniziare fin da piccoli a seguire una dieta sana, aiuta a mantenerla perché crea una predisposizione. Un’abitudine alla dieta. Non solo ma è importante anche il modo in cui si consuma il cibo. Mangiare insieme agli altri spinge a consumare meno cibo da fast food, avendo quindi un impatto positivo nel contrasto all’obesità”, sottolinea ancora il quotidiano.
La seconda abitudine, chiaramente, è il movimento, l’attività fisica: “Fare attività fisica è utile anche per lo sviluppo del cervello. Perché espande le capacità cognitive del cervello creando un ambiente ideale per un apprendimento corretto. Quindi l’attività fisica non combatte solo patologie croniche, il sovrappeso. Ha un impatto positivo anche sul QI. Infatti mentre si fa movimento c’è un incremento del flusso sanguigno cerebrale nel cervello che contribuisce ad aumentare i nutrienti necessari, inoltre favorisce il rilascio di neurotrasmettitori come epinefrina, norepinefina e seratonina”.
La terza e ultima abitudine riguarda lo stare all’aria aperta: “Vivere a contatto con la natura riduce l’esposizione dei bambini a fattori di rischio come l’inquinamento, permette di migliorare lo stile di vita del bambino aumentando l’attività fisica e le occasioni di socialità”.
Gli ovuli scelgono gli spermatozoi
A volte ci si chiede, coppia consolidata o meno ma con il desiderio di far famiglia, perché non si riesca a ottenere una gravidanza. Una ricerca sembra far luce su l’infertilità che non ha motivo reale di essere. Il risultato è stupefacente: gli ovuli scelgono gli spermatozoi. Uno studio dell’università di Stoccolma, coordinata da John Fitzpatrick e pubblicata sulla rivista Proceedings of the Royal Society B asserisce proprio questo.
Gli ovuli decidono da quali spermatozoi essere fecondati: gli scelgono. “Gli ovociti umani rilasciano dei segnali chimici, chiamati chemoattrattivi, che attraggono gli spermatozoi verso gli ovociti non fecondati. Noi volevamo capire se gli ovociti usavano questi segnali per scegliere quali spermatozoi attirare”, commenta Fitzpatrick. Hanno scoperto proprio questo: il fluido di donne diverse attrae gli spermatozoi di alcuni uomini e non di altri.
“Abbiamo osservato che il fluido follicolare di una donna era migliore nell’attrarre gli spermatozoi di un determinato uomo, mentre quello di un’altra donna attirava di più quelli di un altro partner”, aggiunge Fitzpatrick. Questo dimostra che gli ovociti scelgono solo alcuni spermatozoi. Per noi quello che ci accompagna è l’uomo giusto, per i nostri ovuli, alcune volte, invece no.
“Gli spermatozoi devono fare una cosa sola, cioè fecondare l’ovulo, quindi non ha molto senso per loro fare i difficili. Gli ovociti invece possono trarre beneficio dallo scegliere uno spermatozoo di alta qualità o geneticamente compatibile”, conclude l’esperto. Ciò fa così chiarezza su quelle infertilità che non trovano spiegazione.
Bambini: attività fisica e sonno insufficienti
I dati dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Salute sono chiari. Preoccupano, invece, quelli di uno studio pubblicato su Jama Pediatrics e condotto con dati provenienti da 33 Paesi del mondo, di tre fasce di reddito, in sei regioni geografiche. L’attività fisica e il sonno sono insufficienti per 8 bambini su 10 tra i 3 e 4 anni, dicono i risultati finali.
Ecco, mi conforta che per mia figlia non sia mai stato così: ha iniziato nuoto a 2 anni e 9 mesi, poi per due anni si è aggiunta la danza. A seguire solo la seconda, per 5 giorni la settimana. Ora Bibi, che a dicembre diventerà maggiorenne, fa danza dal lunedì al sabato. Certo, a livello accademico, dato che questo vuole fare nella vita. Ma è riuscita a conciliarla con lo studio: frequenta l’ultimo anno del liceo classico. Se si vuole, fortissimamente si vuole, nulla è impossibile. Lo dico ai genitori indecisi sul far fare sport o attività di Alta Formazione ai loro pargoli.
Stando alla ricerca attività fisica e sonno sono insufficienti per la gran parte dei bambini che passano, però, troppo tempo davanti ai video. Le linee guida dell’Oms raccomandano 180 minuti al giorno di attività fisica totale e 60 minuti al giorno di attività fisica di intensità moderata o vigorosa. Riguardo al tempo davanti al Pc, l’Organizzazione Mondiale della Salute specifica di non passare oltre un’ora al giorno davanti allo schermo e poi consiglia una durata del sonno di 10/13 ore.
Lo studio, internazionale, è stato coordinato da esperti del National Institute for Applied Statistics Research Australia. Era finalizzato proprio a verificare la quota di bambini di 3 e 4 anni che soddisfano queste linee guida. Più in generale, il comportamento sedentario in 33 Paesi. L’attività fisica è stata misurata con accelerometri da polso mentre le informazioni sul sonno e sull’uso di schermi sono state fornite dai genitori, si legge su Rai News. Alla fine i dati sono stati sconfortanti. L’attività fisica e il sonno sono insufficienti per 8 bambini su 10 nella fascia di età che va dai 3 ai 4 anni. Quando vedete vostro figlio imbambolato davanti alla tv, al pc o al tablet e peggio ancora allo smartphone, pensateci.
Gravidanza modifica cervello
Uno studio certifica che la gravidanza modifica il cervello della donna. Le modifiche sono rilevanti nella materia grigia e bianca: potrebbero avere implicazioni sulla salute mentale. Inclusa la depressione post–partum.
La ricerca in cui è emerso che la gravidanza modifica il cervello è dell’Università della California Santa Barbara (Ucsb). “I ricercatori hanno evidenziato trasformazioni significative nella materia bianca e grigia del cervello delle donne incinte. Le analisi hanno mostrato che, durante la gravidanza, il cervello femminile subisce modifiche coreografate in modo preciso”, si legge su Adnkronos che riporta la notizia. La professoressa Emily Jacobs, docente di scienze psicologiche e cerebrali alla Ucsb, spiega: “Il cervello materno subisce un cambiamento coreografato durante la gestazione, e finalmente possiamo osservarne il processo, è di fondamentale importanza poter seguire da vicino l’evoluzione di questi cambiamenti”.
Lo studio, pubblicato il 16 settembre sulla rivista Nature Neuroscience, è considerato il primo a monitorare come la gravidanza modifica il cervello. “Il team di ricerca ha seguito il cervello di una donna alla sua prima gravidanza, eseguendo scansioni cerebrali regolari ogni settimana: a partire da prima del concepimento, durante i nove mesi di gestazione e fino a due anni dopo il parto.Le scansioni cerebrali sono state effettuate utilizzando la risonanza magnetica (MRI), una tecnica non invasiva che consente di osservare in modo dettagliato la struttura e la funzione del cervello. Grazie a queste scansioni ripetute, i ricercatori sono stati in grado di mappare con precisione i cambiamenti nella materia bianca e grigia. Questa metodologia ha permesso di documentare, in tempo reale, come il cervello si adatti alle fluttuazioni ormonali e ai cambiamenti fisici indotti dalla gravidanza”.
“La scoperta principale dello studio riguarda il rapporto tra la materia bianca e la materia grigia del cervello. La materia grigia, situata sulla superficie cerebrale, ha mostrato una riduzione di volume durante i cambiamenti ormonali della gravidanza. Questo tipo di cambiamento, tuttavia, non è da considerarsi negativo. I ricercatori suggeriscono, infatti, che potrebbe trattarsi di un processo di “affinamento” del cervello, simile a quanto accade durante la pubertà, quando il corpo attraversa significative trasformazioni biologiche. D’altro canto, la materia bianca, che si trova nelle aree più profonde del cervello ed è fondamentale per la comunicazione tra diverse aree cerebrali, ha subito un aumento durante la gravidanza. Questo aumento, tuttavia, è stato temporaneo: ha raggiunto il picco durante il secondo trimestre per poi tornare ai livelli pre-gravidanza intorno al momento del parto”.
La gravidanza dunque modifica il cervello della donna che, quindi, è “dinamico”. “Lo studio potrebbe migliorare la comprensione generale del cervello umano, anche in relazione ai processi di invecchiamento. Inoltre, potrebbe fornire nuovi spunti per la ricerca sulla depressione post-partum, una condizione che colpisce circa una donna su cinque dopo il parto”.
Zinco e calcio contro ipertensione in gravidanza
Lo zinco e il calcio, se assunti tre mesi prima del concepimento, sono utilissimi contro l’ipertensione in gravidanza. Lo evidenzia uno studio presentato a Nutrition 2024, l’incontro annuale dell’American Society for Nutrition. L’indagine è stata guidata da Liping Lu, della Ball State University.
In gravidanza sono moltissime le donne che si trovano a combattere contro l’ipertensione. In Italia, a grandi linee, si stima che circa una gravidanza ogni dieci sia complicata da questo problema che può avere anche gravi conseguenze. Lo zinco e il calcio, se assunti prima di rimanere incinta, aiutano.
Contro l’ipertensione in gravidanza è certo fondamentale la giusta alimentazione, ma non solo. La ricerca ha valutato la possibilità di prevenire i disturbi legati all’ipertensione in due studi – uno sul calcio e uno sullo zinco -, raccogliendo dati di oltre 7.700 donne incinte che hanno preso parte allo studio Nulliparous Pregnancy Outcomes Study: Monitoring Mothers-To-Be. Dopo aver tenuto conto di fattori demografici, stile di vita e salute correlati al rischio di ipertensione, i ricercatori hanno analizzato l’associazione tra l’assunzione dei due elementi prima del concepimento e i tassi di disturbi ipertensivi in gravidanza.
Dai risultati è emerso che le donne che assumevano più calcio prima del concepimento avevano il 24% in meno di probabilità di andare incontro a disturbi legati all’ipertensione durante la gravidanza rispetto a quelle che ne assumevano meno. Per quanto riguarda lo zinco, invece, le donne che riferivano un maggiore apporto di zinco prima del concepimento avevano il 38% in meno di probabilità di manifestare disturbi ipertensivi durante la gravidanza rispetto a quelle con un apporto più basso.
Bambini affetti da ecoansia
Il 95% dei bambini sono preoccupati per il futuro dell’ambiente, affetti da una vera e propria ecoansia. E’ quanto emerge dai risultati di un recente studio italiano, nato nel contesto del progetto educativo di Scuolattiva Onlus “A Scuola di Acqua”. E’ realizzato da nove anni in collaborazione con il Gruppo Sanpellegrino. Attraverso ‘A Scuola di Acqua: sete di futuro’ promuove da anni iniziative per stimolare nelle nuove generazioni comportamenti responsabili legati a un consumo corretto e consapevole di acqua. Questo per educarli al riciclo e alla tutela ambientale.
“Lo studio realizzato dall’Università di Pavia aggiunge, quindi, un nuovo tassello a questa iniziativa mostrando la preoccupazione dei bambini per il futuro del Pianeta, insieme alla convinzione che il loro contributo possa fare la differenza. Siamo, infatti, convinti che i progetti di formazione ricoprano un ruolo fondamentale nel creare consapevolezza su questi temi. Attraverso l’informazione e la formazione dei più piccoli, si possono gettare le basi per costruire un futuro più sostenibile”, spiega Fabiana Marchini, Head of Sustainability del Gruppo Sanpellegrino.
La ricerca è stata condotta sotto la supervisione scientifica del Laboratorio di Psicologia della Salute del Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento dell’Università di Pavia. In collaborazione con Triplepact Società Benefit, ha previsto la somministrazione di una survey realizzata con metodologia CAWI (Computer Assisted Web Interview). Ha coinvolto un campione di circa 1000 bambini tra i 5 e gli 11 anni. Diverse ricerche internazionali hanno suggerito una suddivisione in tre categorie per comprendere come i cambiamenti climatici influenzino la salute mentale. Impatti diretti, indiretti e vicari. Finora, gran parte della ricerca scientifica ha focalizzato l’attenzione sugli impatti diretti, quelli che si manifestano dopo eventi climatici estremi come alluvioni, terremoti o uragani. Tuttavia, sempre più persone stanno vivendo un senso di angoscia legato alla crisi climatica globale anche senza essere direttamente o indirettamente colpite.
Questo emerge chiaramente anche nello studio di Scuolattiva: l’ecoansia nei bambini non è necessariamente correlata a esperienze realmente vissute,. Piuttosto è frutto della comunicazione e informazione sui temi del climate change che influenzano la percezione del problema da parte dei più piccoli. In altre parole, solo conoscere le conseguenze dei cambiamenti climatici attraverso i media può influenzare la salute mentale. Ne sono quindi affetti.
Nonostante lo stato di marcata preoccupazione, i bambini si sentono strettamente connessi all’ambiente (nel 78% dei casi). Il loro approccio al fenomeno non è passivo ma, al contrario, connotato da un forte spirito di protagonismo e di motivazione ad agire. La quasi totalità del campione si percepisce infatti direttamente responsabile della situazione (95.6%) e pensa che il proprio contributo possa fare la differenza (97.2%).
Non solo, agli occhi dei bambini, la soluzione sta nella partecipazione di tutti. Anche gli adulti, nei quali è riposta la fiducia del 72% dei più piccoli, devono contribuire attivamente alla salute del Pianeta. Lo studio sottolinea quindi l’importanza di promuovere l’engagement delle nuove generazioni nella tutela dell’ambiente e nel contrasto ai cambiamenti climatici attraverso iniziative formative e di sensibilizzazione.
“Assistere alle conseguenze del cambiamento climatico può generare sofferenza e preoccupazioni per il futuro. Insieme a senso di impotenza e frustrazione per l’incapacità di arrestare questo fenomeno o di fare la differenza. Per questo diventa sempre più necessario investire su iniziative formative e di sensibilizzazione che favoriscano l’empowerment dei cittadini e, soprattutto delle nuove generazioni, in merito al valore dei comportamenti di ciascuno di noi nel contrasto agli effetti del cambiamento climatico. Ciò può proteggere le persone dall’esperienza di ecoansia. Non è ovviamente una patologia ma rappresenta tuttavia un fattore di rischio per disturbi della salute mentale”, chiarisce la professoressa Serena Barello.
“E’ infatti un fattore di stress che può’ spingere gli individui a reagire all’ansia cambiando non solo il loro comportamento quotidiano, ma anche la loro prospettiva sul mondo e le aspettative per il futuro”, sottolinea la direttrice del laboratorio di Psicologia della Salute del Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento dell’Università di Pavia coordinatore scientifico dello studio.
Nausea e vomito in gravidanza: studio
La nausea e il vomito colpiscono il 66% delle donne in gravidanza in Italia: uno studio condotto in Italia ha evidenziato l’impatto di questi disturbi quando si è incinta, come riporta l’Adnkronos Salute.
Solo il 25% delle donne con nausea e vomito in gravidanza ha ricevuto un trattamento per contrastare i sintomi, come emerge dallo studio Purity avviato dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), che ha voluto indagare l’impatto della nausea e del vomito in gravidanza (Nvp). Con lo studio gli esperti hanno determinato prevalenza, gravità, durata dei sintomi e loro conseguenze sulla qualità della vita, oltre alla valutazione degli esiti neonatali e dello stato di salute della donna dopo il parto.
Purity – riporta una nota – rappresenta, ad oggi, il primo e unico studio multicentrico che ha esaminato in modo approfondito la prevalenza della Nvp nelle donne italiane e il suo impatto sulla qualità di vita, sull’attività lavorativa e sulla vita personale, in un campione ampio e rappresentativo delle gestanti italiane. Questi disturbi sono sempre stati vissuti, nell’immaginario collettivo, come tipici delle prime fasi della gravidanza e in quanto tali, destinati a scomparire con l’evolvere dell’epoca gestazionale. Gli studi più recenti su questa tematica hanno invece dimostrato che non è così.
“Nella maggior parte dei casi la Nvp si manifesta in maniera moderata, anche se la durata dei sintomi può superare il primo trimestre di gravidanza. Sebbene il disturbo più frequente sia la nausea, vi è un’alta percentuale, circa il 37% dei casi, in cui alla nausea si associa anche il vomito”, commenta Romolo Di Iorio. Il professore associato di Ginecologia e Ostetricia dell’Università di Roma Sapienza aggiunge: “In una casistica più rara, circa il 4%, ritroviamo inoltre donne in stato interessante in cui la Nvp può peggiorare e diventare iperemesi gravidica. E’ una condizione patologica che può portare anche al ricovero e che nei casi più gravi comporta rischi significativi sia per la donna che per il bambino”.
Nel nostro Paese la Nvp è stata spesso sottovalutata e sottotrattata. – si legge – Purity è nato proprio per colmare tale vuoto conoscitivo ed ha coinvolto un campione omogeneo di 528 pazienti gravide afferenti a tre strutture ospedaliere italiane. L’Ospedale dei Bambini ‘Vittore Buzzi’ di Milano. Il Presidio Ospedaliero SS. Annunziata di Chieti. L’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli. Alle donne intervistate è stato somministrato un questionario in due fasi. Nella prima, tra la diciottesima e la ventiduesima settimana di gravidanza, si valutava la prevalenza e la gravità della Nvp. L’insorgenza e la durata dei sintomi. Il loro trattamento e l’impatto sulla qualità della vita. La seconda fase, entro 14 giorni dopo il parto, ha esaminato invece la correlazione tra i sintomi della Nvp in gravidanza e gli esiti neonatali, nonché lo stato di salute post-parto delle donne.
“Ci siamo posti come obiettivo non solo quello di esaminare la gravità del disturbo e le possibili terapie. Ma anche gli aspetti legati alla qualità di vita della gestante. Ed è proprio per questo motivo che abbiamo inserito domande specifiche. Quesiti che hanno evidenziato come le donne richiedano una maggiore attenzione al problema, che in quanto tale deve essere riconosciuto e curato”, spiega Irene Cetin.
Professore ordinario di Ginecologia e Ostetricia dell’Università degli Studi di Milano e direttore dell’Ostetricia del Policlinico di Milano, prosegue: “In questo senso il professionista sanitario svolge un ruolo fondamentale per dare sollievo e fornire un aiuto concreto alla donna. E’ nostro compito, infatti, rendere consapevole la donna che è possibile vivere questa fase della vita in tutti i suoi aspetti. Senza sacrificare il rapporto di coppia, né dover rinunciare alla propria vita sociale o lavorativa. In situazioni difficili o invalidanti si può infatti ricorrere ad una terapia efficace e sicura. Una terapia che permetta di vivere a pieno i nove mesi della gravidanza, senza più limitazioni”.
Lo studio ha evidenziato che in alcuni casi la Nvp può portare le donne a star male al punto di essere obbligarle a smettere di lavorare. O, in casi estremi, a pensare di interrompere la gravidanza. Questo porta il fenomeno a essere considerato di grande impatto anche nell’opinione pubblica. La setta che, invece, lo ha sempre sottovalutato e associato a una condizione quasi normale della gravidanza.
Inoltre, sulla base di una scala utilizzata a livello internazionale, che ha valutato la gravità del disturbo (Puqe – Pregnancy-Unique Quantification of Emesis and Nausea), è emerso che 348 donne su 528 hanno sofferto di nausea e vomito in gravidanza nelle prime 22 settimane. Nello specifico i sintomi si sono presentati in forma lieve in 118 donne pari al 34% dei casi, moderata in 217 donne pari al 62% e grave in 13 donne pari al 4%. L’indagine evidenzia che solo il 25% delle donne coinvolte ha ricevuto un trattamento (farmacologico o non farmacologico) per contrastare i sintomi. Tra queste, la maggior parte delle intervistate, pari al 67,7%, ha dichiarato di aver utilizzato l’associazione di doxilamina 10 mg e piridossina 10 mg.
“Oltre a questi dati, uno dei risultati più importanti e statisticamente significativi raccolti nella seconda fase dello studio è stato quello riferito al tempo gestazionale. Infatti le donne che presentano nausea e vomito in gravidanza – conclude Cetin – hanno avuto in media un tempo gestazionale più corto. Quindi, hanno avuto un parto pretermine, in quanto non sono arrivate alla quarantesima settimana”.