Rooming-in
Garantire un percorso nascita puntuale ed appropriato a ciascuna coppia madre-neonato costituisce un obiettivo prioritario di salute. Tra gli interventi assistenziali raccomandati per il perseguimento di questo obiettivo, quello che ha mostrato probabilmente la maggiore efficacia clinica e prognostica in ambito perinatale è il rooming-in protratto e esteso. E’ stato scelto come tema centrale della sessione dedicata al Supporto al neonato sano e alla sua famiglia, al XXX Congresso Nazionale della Società Italiana di Neonatologia (SIN), a Padova.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) lo ha definito come: “la permanenza del neonato e della madre nella stessa stanza di degenza per un tempo più lungo possibile. Auspicabilmente 24 ore su 24, con l’eccezione dei momenti necessari per effettuare quelle procedure assistenziali su madre/neonato (di fatto molto limitate) che giustificano una separazione”.
Ma il rooming-in non è solo questo, è molto di più. Come il corpo materno è l’“ambiente atteso” per il neonato, che favorisce l’adattamento ottimale alla vita extrauterina e gli consente di esprimere al meglio le sue competenze, così il rooming-in è “il posto giusto”. L’habitat ideale in cui genitori e neonato possono esprimere al meglio l’istinto di relazione, la “care” in senso assoluto.
“Il rooming-in 2.0 è ripensato in una nuova accezione, riorganizzato, centrato sulla triade familiare, alla luce delle nuove scoperte nel campo delle neuroscienze”, afferma il dott. Luigi Orfeo, presidente della SIN. “L’organizzazione del rooming-in, previo un monitoraggio scrupoloso del benessere materno e neonatale che garantisca la massima sicurezza clinica, deve divenire un accompagnamento discreto, rispettoso, per la piena realizzazione del bonding. Quel profondo e singolare legame, che viene a stabilirsi tra il neonato e la propria madre fin dai primi istanti di vita. Non si tratta di decidere, ad esempio, a che ora fare un prelievo (certo, in una condizione dove la procedura non sia “salvavita”), ma su come posso dare la migliore assistenza possibile in una cornice che rispetti il riposo della puerpera, gli stati comportamentali neonatali e l’attenzione al dolore”.
L’organizzazione del rooming-in 2.0 non cambia solo un reparto, cambia la modalità di assistenza, dal curare al prendersi cura. E richiede, quindi, alcuni elementi indispensabili: il supporto, la sicurezza, l’adattabilità delle strutture e la modulazione qualitativa delle routines assistenziali.
Il rooming-in è oggi raccomandato in condizioni fisiologiche dall’OMS (WHO 2017) e dall’UNICEF (nell’ambito delle iniziative “Ospedale amico del bambino”), dalle principali società scientifiche nazionali ed internazionali e dal Ministero della Salute (2019) nel documento di indirizzo “Investire precocemente in salute: azioni e strategie nei primi 1000 giorni”.
I suoi benefici sono innumerevoli, ben documentati e scientificamente provati. Promuove l’avvio dell’allattamento al seno e si associa a tassi di allattamento materno molto maggiori. Comporta un miglioramento di numerosi determinanti di salute (a breve, medio e lungo termine). Favorisce la relazione madre-bambino e l’attaccamento-bonding. Promuove la consapevolezza delle competenze genitoriali-empowerment. Favorisce una dimissione appropriata del neonato e della coppia con riduzione dei ricoveri successivi. Protegge dalla depressione post-partum e dallo stress indotto dal cambiamento di ruolo dovuto dalla genitorialità. Riduce il rischio di infezioni ospedaliere.
Molte ricerche scientifiche hanno dimostrato come l’adozione dello skin-to-skin alla nascita tra madre e neonato, seguito da una strategia di “zero separation”, garantita dal rooming-in estensivo, giochino un ruolo determinante nel consentire una buona transizione dalla vita intrauterina a quella extrauterina.
L’insieme di queste buone pratiche, agendo precocemente in una fase di massima sensibilità (finestra di vulnerabilità) favoriscono l’ottimale sviluppo neurologico del neonato. In questo periodo, infatti, la crescita del bambino è fortemente condizionata dagli stimoli ambientali cui è sottoposto, grazie ad afferenze sensoriali sia positive che negative, in grado di modificare l’epigenetica e il neurosviluppo, che coinvolgono processi di adattamento e modulazione neuronale. Il rooming-in, permettendo al neonato di continuare a ricevere quegli stessi stimoli positivi che riceveva in utero (la voce materna e paterna, gli odori, gli stimoli tattili…) garantisce in conclusione l’ambiente più appropriato e familiare, indispensabile per lo sviluppo neurologico.
“Oggi abbiamo un importante strumento a nostra disposizione, che contribuirà a fornire indicazioni sulle buone pratiche assistenziali postnatali, che riguardano il neonato e la sua famiglia: il nuovo documento “Benessere della coppia madre-bambino e sicurezza del neonato: il rooming-in”, realizzato dal Tavolo tecnico multidisciplinare sulla continuità del rapporto madre-bambino durante l’ospedalizzazione alla nascita del Ministero della Salute e del quale la SIN fa parte”, conclude il Presidente Orfeo.