Cibo bambini: errori da evitare
I bambini devono avere un buon rapporto col cibo. Anche perché i disturbi alimentari dei ragazzi sono sempre più frequenti. Ci sono errori da evitare a riguardo. Noi genitori dobbiamo farne tesoro per il loro benessere.
Se si desidera che i bambini mangino in modo sano e che il cibo per loro non si trasformi in un problema ecco gli errori da evitare, quelli che potrebbero causare disastri a lungo andare. Ce li dà Qui Mamme del Corriere della Sera.
I nostri figli vanno assolutamente educati a curare la loro alimentazione, siamo noi adulti a doverlo fare. Gli errori da evitare quando si tratta di cibo per i bambini sono a volte puerili, ma accadono.
E’ vietato saltare la colazion, non è un pasto superfluo, ma è fondamentale. Una buona colazione (latte o yogurt con fette biscottate, cereali, pane e marmellata) assicura il giusto concentrato di energia per affrontare la giornata.
I legumi non sono un contorno, vanno serviti da soli, sono già di per sé un secondo piatto.
Non servire pane, pasta e patate insieme. Sea pranzo è prevista pasta o riso, il pane o le patate vanno servite a cena.
Non forzare i bambini nell’assaggio degli alimenti: inutile costringere i bambini ad assaggiare una pietanza che non gradiscono. Ed è assolutamente sbagliato portarli a fare questo unicamente in cambio di un “premio”.
Il momento dei pasti non è un gioco, sarebbe meglio eliminare tutte le distrazioni. Niente giocattoli né TV accesa. I piccoli devono conoscere il cibo senza interferenze esterne.
No alle punizioni. Se non si termina il piatto che si ha davanti, nieinte tragedia. Di tanto in tanto premiarlo con un dolcetto o con qualche altro alimento, quando finisce tutto. Questo però non deve diventare una malsana abitudine.
Vaccino antipertosse utile in gravidanza
In questa strana epoca in cui viene messa in dubbio la scienza, è opportuno ricordare che è necessario vaccinarsi. E a tal proposito l’Ospedale Pedriatico Bambino Gesù ricorda che il vaccino antipertosse è utile in gravidanza.
Il vaccino antipertosse è raccomandato. Utile in gravidanza, è offerto gratuitamente a tutte le donne. La dose necessaria deve essere effettuata intorno alla 28° settimana e va ripetuta a ogni gestazione.
Il Bambino Gesù, nel sottolineare che il vaccino antipertosse è utile in gravidanza, scrive:
“La pertosse è una malattia altamente infettiva e grave che può portare a polmonite e danni cerebrali, soprattutto nei neonati e nei bambini più piccoli, sotto un anno di vita. La maggior parte dei lattanti affetti da pertosse necessitano di cure ospedaliere e, quando la pertosse è molto grave, possono morire. La frequenza della pertosse è aumentata notevolmente negli ultimi anni e i bambini molto piccoli che ancora non hanno ricevuto il primo ciclo vaccinale possono avere un decorso grave con necessità di ricovero in terapia intensiva e un non trascurabile rischio di sviluppare complicanze fino alla morte. Le donne in gravidanza possono proteggere i loro bambini vaccinandosi, idealmente dalla 16a alla 32a settimana di gravidanza, per produrre degli anticorpi specifici da passare al figlio attraverso la placenta e proteggerlo da subito nel periodo postnatale”.
“La vaccinazione in gravidanza è molto efficace per proteggere il bambino dalla pertosse nelle prime settimane di vita. L’immunità ottenuta con il vaccino passerà al bambino attraverso la placenta e gli fornirà una protezione passiva fino a quando non sarà abbastanza grande per essere vaccinato contro la pertosse, cioè dalle 8 settimane di vita”.
“Poiché non esiste un vaccino solo per la pertosse, il vaccino è combinato con l’antitetanico e l’antidifterico (dTpa). Ma essendo un vaccino acellulare, ha molto pochi effetti collaterali. La maggior parte di questi, nella vaccinazione dTpa fatta in gravidanza sono lievi e si risolvono da soli. Gli effetti collaterali più comuni comprendono:
- Eritema, gonfiore, dolore nel sito di iniezione;
- Dolore muscolare aspecifico;
- Stanchezza;
- Febbre.
Il vaccino dTpa è quindi molto sicuro anche durante la gravidanza”.
“La vaccinazione trivalente anti difterite-tetano e pertosse in Italia è raccomandata e offerta gratuitamente a tutte le donne, idealmente alla 28° settimana. Va ripetuta a ogni gravidanza. Se per qualche motivo non si riesce a ricevere la vaccinazione entro la 32sima settimana di gravidanza, si può comunque fare il vaccino fino al momento del parto. Se si è in gravidanza all’inizio della stagione influenzale (ottobre-novembre) i due vaccini antinfluenzale e dTpa possono essere somministrati nello stesso momento in due punti diversi. Ad esempio uno sul braccio destro e l’altro sul sinistro”.
Un sorriso è per sempre
Un sorriso è per sempre, ha un potere immenso: infonde serenità, gioia. La Giornata Mondiale del Sorriso in questo 2024 cadrà venerdì 4 ottobre.
Il sorriso ha numerosi benefici sia per chi lo fa che per chi lo riceve.
Migliora l’umore: Sorridere stimola la produzione di endorfine, i cosiddetti ormoni della felicità, che ci fanno sentire bene e aumentano il nostro umore positivo.
Riduce lo stress: Un sorriso sincero e rilassato può aiutare a ridurre lo stress e l’ansia. Sorridere rilascia tensione e promuove una sensazione di calma.
Crea connessioni: Il sorriso è un linguaggio universale che supera le barriere culturali e linguistiche. Sorridendo, creiamo un’atmosfera di apertura e accoglienza, che favorisce la comunicazione e la creazione di legami con gli altri.
Rende più attraenti: Il sorriso è un’arma di seduzione naturale. Un bel sorriso può rendere una persona più attraente e affascinante agli occhi degli altri.
Promuove la salute: Sorridere ha anche benefici per la salute fisica. Studi scientifici hanno dimostrato che sorridere può abbassare la pressione sanguigna, stimolare il sistema immunitario e persino alleviare il dolore.
Diffonde positività: Un sorriso contagioso può diffondere positività e buonumore agli altri. Quando sorridiamo, tendiamo ad infondere una sensazione di gioia e felicità nelle persone che ci circondano.
Un sorriso, quindi, è davvero per sempre, ecco uno dei motivi per cui, penando ai nostri bambini, è pure importante curarne l’aspetto partendo dall’igiene orale. Un piccolo vademecum a tal proposito:
Da 0 a 2 anni: l’igiene orale del neonato va praticata utilizzando una garza, tamponando delicatamente e rimuovendo i residui del latte, con delicatezza, almeno due volte al giorno. Successivamente, tra il 6° e il 9° mese di vita, quando cominciano a spuntare i primi dentini, è importante continuare con la pulizia del cavo orale, sempre con l’aiuto di una garza e, quando nascono i primi denti, cominciare ad utilizzare uno spazzolino piccolo per bambini con setole morbide. Inizialmente si consiglia di spazzolare con sola acqua tiepida.
Dai 2 ai 4 anni: i genitori devono impegnarsi a sviluppare nei propri figli l’abitudine a lavarsi i denti regolarmente. Inizialmente saranno loro a spazzolare i denti dei propri figli, successivamente, i bambini potranno iniziare a usare gli spazzolini da denti in autonomia. L’obiettivo dell’igienista dentale in questa fase è mantenere la dentizione senza carie ed educare il bambino ad un’igiene orale autonoma e quotidiana. Anche il ruolo dei genitori è importante: devono infatti educare i propri figli a lavarsi i denti in maniera corretta, magari mostrando loro come si fa attraverso il gioco.
Gli spazzolini da denti per i bambini di questa età sono rivestiti da gomma antiscivolo, per migliorare l’impugnatura. Le setole morbide devono rispettare il tessuto gengivale sensibile e lo smalto dei denti.
Da 4 a 6 anni: la malattia più diffusa in questa fascia di età è la carie che si instaura prevalentemente sui denti da latte e in particolare sui molari decidui o, se già erotti, su quelli permanenti. In questa fase il bambino, dotato ormai di mani più grandi e di una manualità più consapevole, è in grado di impugnare il manico dello spazzolino con più sicurezza e abilità. Ora può completare la sua igiene orale in autonomia, spazzolando i propri denti con movimenti più estesi e precisi. Il genitore è sempre opportuno che vigili sull’efficacia del corretto spazzolamento dei denti del bambino.
E sorridete, voi, fatelo spesso condividendo un sorriso, che è per sempre, coi vostri figli e coi vostri cari.
Giuste regole per dimagrire
Le giuste regole per dimagrire le sottolinea il dottor Giuliano Ubezio, dietista, in un libro. “In forma con il Doc. Regole semplici, falsi miti e quiz per imparare a nutrire bene il corpo”, edito da Cairo editore.
Tra le giuste regole per dimagrire c’è il peso forma. Come si calcola? “Calcolare l’indice di massa corporea, ossia il rapporto peso-altezza, che è una formula matematica – spiega il medico al Corriere – In pratica bisogna dividere il peso per il quadrato dell’altezza. Il numero ottenuto indicherà se una persona è in uno stato di sovrappeso (tra 25 e 29,9), di obesità (sopra 30), se è sottopeso (sotto 18,5) oppure normopeso (tra 18,5 e 24,9”. Ma non basta, si dovrebbe anche verificare questo indice di massa corporea di cosa si compone: “da quanti muscoli, acqua e grasso”.
“C’è chi vorrebbe arrivare a pesare 55 chili benché un peso corretto sarebbe molto di più. In questi casi, cerco di far capire loro che per raggiungere il peso bisogna muoversi, dato che molti pensano che basti mangiare meno per perdere peso, ma non è così: è fondamentale fare esercizio fisico”, sottolinea il medico.
“Parcheggiare l’automobile lontana, fare le scale, usare la bici al posto della macchina, scendere a una fermata prima del tram, dell’autobus o della metropolitane. Piccole soluzioni che possono fare la differenza – prosegue Ubezio – E’ inutile privarsi di cibo e fare tantissima attività fisica per arrivare a un obiettivo che poi non si riuscirà a mantenere.Perché innanzitutto il percorso di perdita di peso, quando questa è necessaria, deve far parte di una routine quotidiana. Non può essere qualcosa che ha un inizio e una fine. Pesi troppo ristretti sono incompatibili in parecchi casi, per esempio in una donna una perdita eccessiva di grasso può portare a disequilibri ormonali. Nelle più giovani anche a una scomparsa del ciclo mestruale”.
“Non è mai la cena del sabato sera che fa ingrassare, ma sono le tante piccole abitudini quotidiane errate che provocano un danno”, precisa ancora l’esperto. Le giuste regole per dimagrire sono una dieta varia, corretta, che non stravolge le abitudini quotidiane. “Il consiglio più basico, quello che applico spesso io stesso, è cercare di dividere la giornata in almeno tre pasti giornalieri. Una colazione con parte liquida e solida (liquida: tè caffè, yogurt; solida: cereali, pane, biscotti). Per quel che riguarda gli altri due pasti, è bene equilibrare: se a pranzo mangio un secondo con contorno e pane (che sia un’insalatona con tonno, un poke o un panino), la sera è consigliabile consumare un primo e un contorno”, conclude.
Long Covid bambini: può durare pure 3 anni
Il Long Covid ad alcuni bambini può durare pure 3 anni. Lo rende noto uno studio pubblicato su eClinical Medicine, rivista edita da Lancet. La ricerca è stata condotta su circa 1.300 pazienti di 0-18 anni, seguiti presso l’Ambulatorio del Post-Covid pediatrico del Policlinico Gemelli.
“In questo lavoro – spiega il dottor Danilo Buonsenso all’Ansa – abbiamo documentato l’andamento dell’infezione da SARS-CoV-2 in età pediatrica fino a trentasei mesi successivi alla prima infezione”. Come sottolinea il docente di Pediatria all’Università Cattolica e dirigente medico dell’Unità Operativa Complessa di Pediatria della Fondazione Policlinico, è emersa questa amara verità. Sebbene la maggior parte dei pazienti guarisca dal Covid, alcuni continuano a presentare sintomi ascrivibili al Long Covid, fino a 3 anni di distanza dall’infezione iniziale. Questo conferma che il Long Covid nei bambini può durare pure 3 anni.
“Molti di quelli seguiti per tre anni, dopo l’infezione iniziale, non sono riusciti a riprendere la routine di tutti i giorni, con conseguenze negative sulla capacità di frequentare regolarmente la scuola o di svolgere le classiche attività extra-scolastiche, a causa dei sintomi debilitanti riportati”, rileva l’esperto.
“Nel nostro studio – spiega ancora Buonsenso – la vaccinazione si è dimostrata un fattore protettivo contro il Long Covid, ma questo effetto ‘scudo’ varia a seconda del numero di dosi ricevute o dall’età del paziente”. Oltre ai dati che dicono che il Long Covid nei bambini può durare pure 3 anni, un altro dato emerso dalla ricerca è che il rischio di presentare una forma grave di Covid in caso di reinfezione nei 24-36 mesi successivi alla prima infezione, è estremamente basso. “Va detto tuttavia – spiega il pediatra – che, anche se raro, è possibile sviluppare il Long Covid anche a seguito di una reinfezione. Inoltre, i bambini con Long Covid sono a maggior rischio di presentare infezioni sintomatiche”.
Allergie e intolleranze alimentari: cosa fare a scuola
Non è facile per i genitori che hanno bambini con allergie e intolleranze alimentari, soprattutto a scuola. E’ importante capire cosa fare per evitare le contaminazioni quando un piccolo va alla mensa scolastica.
Sulle allergie e intolleranze alimentari dei bambini e cosa fare a scuola sono utilissime le parole del dottor Alessandsro Fiocchi.
Il Responsabile di Allergologia Ospedale Pediatrico Bambino Gesù al Fatto Quotidiano spiega: “Esistono due tipi di intolleranze alimentari. Una è la celiachia, o intolleranza al glutine, che può colpire i bambini. L’altra è l’intolleranza al lattosio che invece non colpisce mai i bambini. Tutto il resto rientra nei casi delle allergie alimentari”
“Nei bambini tra i tre e sei anni l’allergia più diffusa è nei confronti della frutta secca a guscio, al latte, grano e alle uova. Dopo i sei anni, è più frequente alle arachidi e alla frutta fresca – continua Fiocchi –. Tra la frutta fresca, la più frequente è quella per il kiwi e si manifesta nei bambini che presentano un’altra allergia, quella ai pollini. Questo perché le molecole dei pollini sono identiche a quelle che ci sono nella frutta fresca. In questo caso si parla di ‘allergia ‘crociata’”.
“Esiste un solo test per evidenziare le intolleranze ed è quello per la celiachia e si basa sui risultati degli esami sierologici. Per quanto riguarda i test per le allergie, purtroppo ne vedo proposti in farmacia o consigliati dagli stessi medici, ma molti di questi non hanno nessuna validità! – sottolinea con forza l’esperto –. Gli unici testi validi sono quelli di ‘sensibilizzazione in vivo’: misurano la presenza di anticorpi IgE per gli alimenti sulla pelle con prick test o patch test; i ‘test di sensibilizzazione in vitro’: misurano la presenza di anticorpi IgE per gli alimenti nel sangue con tecniche sempre più sofisticate. E infine, il test di reazione allergica vera e propria, detto ‘test di provocazione’: per sapere se un bambino è davvero allergico gli si fa mangiare l’alimento e la reazione deve essere osservata e misurata”.
Ma cosa fare a scuola con bambini che soffrono di allergie e intolleranze alimentari? “In accordo con il pediatra si presenta la situazione agli organismi scolastici che trasmetteranno alla mensa i cibi da eliminare dal menù del bambino – precisa Fiocchi -. I menù sono ormai ben stilati dai nutrizionisti che valutano le alternative nutrizionali più idonee. I problemi principali ci possono essere nei bambini allergici a più cibi come latte, pesce, carne stessa in cui c’è il rischio di carenze proteiche o anche di calcio”.
“Il rischio di mangiare o anche inalare un cibo di cui il bambino è allergico o intollerante può provenire da un alimento che sta mangiando un suo compagno di scuola o anche, perché succede anche questo, per uno scherzo stupido di un altro bambino. Non è nemmeno da sottovalutare l’uso di materiali come farine di frumento o cereali per creare un tipo di ‘plastilina’ per fare dei lavoretti, specie nella scuola materna. Un bambino allergico a questi ingredienti potrebbe ingerirli casualmente”, dice ancora il medico.
“In caso di ingestione accidentale di un alimento ‘incriminato’, la scuola deve avere il piano terapeutico che i genitori hanno indicato a insegnanti e servizi scolastici per intervenire alla comparsa dei sintomi o prima di essi. In questi casi si ricorre a uso di adrenalina”, chiarisce il quotidiano.
Il decalogo per prevenire le allergie
1. No al fumo.
2. Dieta mediterranea, varia e sana.
3. Allattamento materno esclusivo.
4. I probiotici nella madre e nel bambino potrebbero essere utili per prevenire le allergie.
5. Omega-3 per la mamma in allattamento.
6. Alimentazione complementare (divezzamento) a 6 mesi, secondo raccomandazioni Oms.
7. Introduzione dell’uovo a 6 mesi, all’inizio dello svezzamento, e alimenti a base di arachidi prima dell’anno.
8. Utilizzo di emollienti cutanei che favoriscono il mantenimento dell’integrità della barriera cutanea.
9. Riduzione degli stress: promozione delle attività di svago e sportive della coppia genitoriale, consigli logistici per un’efficiente e appagante vita domestica, e attenzione al rispetto del sonno quotidiano.
10. I bambini che vivono in zone rurali (o vicino a una fattoria) sembrano essere meno allergici rispetto ai bambini che vivono in città.
Bambini: ora perfetta della cena
C’è chi addirittura li fa mangiare il pomeriggio, intorno alle 17, pur di non farli riempire di snack. Ma qual è l’ora perfetta della cena dei bambini?. Quelli in età scolare dovrebbero mangiare intorno alle 18.30/19. Sembra sia questa.
“E’ importante ricordare che l’orario e l’apporto calorico che diamo ai bambini per cena influiscono anche sul loro ritmo sonno-veglia, cenare troppo presto o troppo tardi non è una buona idea”, sottolinea la dottoressa Laura Chiesi a Fanpage quando le si domanda quale sia l’ora perfetta della cena dei bambini.
Poi la responsabile dell’unità professionale dietetica dell’azienda ospedaliero-universitaria Meyer -IRCCS dà il suo parere. “La cena dovrebbe essere servita ai bambini in età scolare attorno alle 18.30-19.00 e mai dopo le 19.30. L’importanza di rispettare questa finestra temporale è dettata dal fatto che il piccolo può mangiare quanto basta per sentirsi sazio, senza che il pasto influisca sulla qualità del suo sonno”, precisa.
Il medico sull’ora perfetta della cena dei bambini aggiunge: “Poi l’orario dipende anche dall’età del bimbo, se ha 1-3 anni può cenare verso le 18, dal momento che andrà a dormire verso le 20. Per i ragazzi più grandi l’orario può essere spinto più avanti, ma è importante non tardare troppo la messa a letto se l’indomani il bimbo deve andare a scuola”.
Ansia da separazione
L’ansia da separazione, che potrebbe manifestarsi nei vostri figli proprio ora con il ritorno a scuola, in realtà compare intorno agli otto mesi di vita del bebè, si intensifica introno ai 13-18 mesi di vita per poi ridursi progressivamente tra i 3 e i 5 anni.
L’ansia da separazione è “la reazione di spavento e di protesta che il bambino manifesta quando le sue principali figure di accudimento, specie la madre, si allontanano da lui o quando è in presenza di figure non familiari”. Lo spiega la psicologa e psicoterapeuta Valentina Nappo.
“Si tratta di un’importante e normale fase dello sviluppo sia intellettivo sia sociale del bambino, che testimonia come egli abbia imparato a riconoscere chi si occupa di lui, come abbia stabilito con il caregiver (colui che dà cure) un legame di attaccamento e come percepisca in sua assenza un pericolo”, chiarisce ancora la dottoressa.
I genitori davanti a un pianto disperato del proprio figlio e alle sue continue richieste difficilmente rimangono indifferenti. Ma non devono farsi sopraffare dall’ansia da separazione del piccolo. Parlandogli, con dolcezza e fermezza al tempo stesso, devono cercare di fargli acquisire nuove abitudini, cercando di superare brillantemente questa fase della crescita.
Se questi problemi perdurano, oltre l’età consentita, si parla di disturbo di ansia da separazione, in questo caso è richiesto l’intervento di uno specialista.