Saltare la colazione fa malissimo

Lo si è sempre detto. La Società Italiana di Diabetologia lo sottolinea ancora una volta: saltare la colazione fa malissimo. Soprattutto al diabete. Non solo, bisogna anche farla entro una certa ora.

Non tutti sanno che il claim ‘la colazione è il pasto più importante della giornata’ fu inventato e diffuso dai pubblicitari di una azienda che produceva fiocchi di avena. Ma il potere di uno slogan può essere pervasivo, tanto da diventare una regola. Mantra che non tiene conto delle recenti ricerche in campo nutrizionale che hanno accreditato nuovi modelli di crononutrizione come il digiuno intermittente.
In alcuni soggetti la somministrazione, il tipo, la composizione e l’orario dei pasti però fa parte della malattia. Nelle persone con diabete, ad esempio, saltare la colazione è controindicato. La crononutrizione ci dice che l’orario dei pasti ha un impatto sui ritmi circadiani che a loro volta regolano la secrezione di diversi ormoni, tra cui i livelli di insulina. Insomma, fa malissimo.
Lo scorso anno uno studio spagnolo pubblicato su Journal of Epidemiology aveva concluso che le persone sane che facevano colazione più tardi (dopo le 9 del mattino) avevano un maggior rischio di sviluppare diabete di tipo 2. Mentre in quelli che la consumavano prima delle 8 del mattino il rischio si riduceva del 59%. I ricercatori hanno valutato un campione piuttosto ampio, di circa 100 mila persone (il 79% donne) che rende i risultati più affidabili.
E se l’orario dei pasti ha la sua importanza anche saltarli completamente può avere conseguenze negative. Diverse ricerche hanno dimostrato che saltare la prima colazione fa impennare la glicemia dopo pranzo e diminuire la capacità dell’insulina di rispondere adeguatamente. Lo ‘skipping breakfast’ agisce come uno stress per l’organismo delle persone con diabete.
“Possiamo dire che un digiuno prolungato porta ad una ‘perdita di memoria’ delle cellule Beta del pancreas, come se avessero bisogno dello stimolo cibo-risposta attivato dalla colazione”. sottolinea il Professor Angelo Avogaro, Presidente SID. “Inoltre il digiuno mattutino aumenta il livello degli acidi grassi del sangue che interferiscono con l’efficacia dell’insulina ad abbassare i livelli di zuccheri nel sangue. La ‘crononutrizione’ ci dice che lo stesso nutriente esercita effetti metabolici differenti a seconda del momento della giornata in cui viene consumato. Meccanismo regolato da un ‘orologio centrale’ (master clock) localizzato nel cervello a livello del ‘nucleo sovra chiasmatico’, e attivato da segnali luminosi captati da alcuni recettori presenti nella retina”.
Oltre il diabete, numerosi studi, tra cui uno di Kant e Collaboratori, hanno dimostrato che su 35 mila persone la mortalità per tutte le cause differiva a seconda dell’orario della colazione. All’avanzare dell’orario aumentavano anche glicemia, trigliceridi e proteina C-reattiva. Quest’ultima si eleva quando la colazione viene saltata. Mentre la glicemia presenta valori più elevati solo negli uomini (si ipotizza che la presenza degli estrogeni abbia un effetto protettivo). Tenetelo bene a mente, quasi fosse idealmente stampato: saltare la colazione fa malissimo.
Fumo: è boom tra i giovani

Oggi è la Giornata Mondiale senza tabacco. Perché fumare fa male. Ma i dati sconvolgono: per quanto riguarda il fumo è boom tra i giovani.
Come riporta l’Ansa, in Italia, la maggioranza degli adulti tra i 18 e i 69 anni non fuma (59%) o ha smesso di fumare (17%), ma un italiano su quattro è ancora un fumatore (24%). E questa percentuale cresce tra i giovani. Il 30,2% usa almeno un prodotto tra sigaretta tradizionale, tabacco riscaldato o sigaretta elettronica. Sempre in questa fascia di età raddoppia il policonsumo, ovvero l’utilizzo contemporaneo di diversi prodotti, che si attesta al 62,4%, rispetto a un precedente 38,7%. E’ la fotografia che emerge da due diverse indagini dell’Istituto superiore di sanità (Iss).
Le ricerche registrano anche un calo netto del numero dei centri antifumo. “Negli ultimi 15 anni la percentuale di fumatori si è ridotta, ma troppo lentamente. Erano il 30% nel 2008, adesso si attestano al 24% – evidenzia il presidente dell’Iss Rocco Bellantone –. Questo processo va accelerato puntando sulla prevenzione, che deve partire dalle scuole. Sono infatti proprio le scuole uno dei luoghi principali in cui costruire una socialità tra i bambini e ragazzi che punti a promuovere stili di vita sani, come l’abitudine a non fumare”.
E’ boom tra i giovani, anzi, giovanissimi. Le notizie sul fumo riguardanti loro preoccupano. Un’indagine Iss ha preso in esame gli studenti nell’anno 2023-2024 su un campione di 6012 ragazzi. Circa uno studente su tre tra i 14 e i 17 anni (30,2%) ha fatto uso di un prodotto a base di tabacco o nicotina negli ultimi 30 giorni, tra sigarette tradizionali, elettroniche e tabacco riscaldato. Tra le ragazze il consumo è leggermente maggiore. Quasi raddoppia rispetto al 2022 in questa fascia d’età il policonsumo, cioè l’utilizzo contemporaneo di questi prodotti, che si attesta al 62,4%, rispetto a un precedente 38,7%.
L’età del primo contatto con la nicotina si attesta tra i 13 e i 14 anni. Inoltre, non appaiono esservi stretti controlli sull’età al momento dell’acquisto, tanto che la maggior parte dei ragazzi intervistati afferma di aver acquistato personalmente i prodotti al bar o dal tabaccaio. In circa un caso su tre i genitori sono a conoscenza del fatto che i ragazzi utilizzano un prodotto a base di tabacco o nicotina. E sembrano tollerare maggiormente l’utilizzo dei nuovi prodotti rispetto alla sigaretta tradizionale.
Ma i rischi non sono da sottovalutare. Non a caso, afferma Simona Pichini che dirige il Centro Nazionale Dipendenze e Doping Iss, “l’Oms ha scelto come slogan per la giornata di quest’anno ‘Proteggere i bambini dalle interferenze dell’industria del tabacco’. Non bisogna dimenticare che la nicotina è una sostanza che dà dipendenza, e che ci sono evidenze degli effetti negativi per la salute anche dall’uso di questo tipo di dispositivi”. Il fumo fa boom tra i giovani: è necessario intervenire.
“L’uso composito – spiega Giovanni Capelli, direttore del Centro Prevenzione delle malattie e Promozione della Salute Iss (CNAPPS) – è una sfida per la salute pubblica perché non si può escludere che la combinazione di sigarette tradizionali e dispositivi elettronici, con e senza nicotina, si traduca in aumento del rischio per la salute”.
Allergia al Nichel

Un’amica di mia figlia la ha. Prima che gliela diagnosticassero ce ne è voluto, ahimè. Sto parlando dell’allergia al Nichel. Occhio. E’ assai in aumento, quindi tenete sempre le antenne alzate con i vostri figli, ma non solo.

“L’allergia al Nichel è una patologia sempre più diffusa e parte della responsabilità è da imputare all’inquinamento che immette nell’aria e nei terreni metalli potenzialmente allergizzanti. Tra i quali c’è certamente il nichel. Qualche tempo fa ci era quasi del tutto indifferente. Oggi, invece, il nichel è, per l’uomo, uno degli indiziati più subdoli in diversi problemi di salute, arrivando a nuocere a circa il 10% della popolazione. Ma ci si può convivere. Diffidando dai tanti falsi miti, e superando le prime difficoltà”, spiega all’Adnkronos Salute l’immunologo Mauro Minelli.
Il responsabile per il Sud della Fondazione di Medicina personalizzata (Fmp) va oltre. “Non solo nichel, certo, anche mercurio, cobalto, cromo, cadmio. Tutti i metalli, entrando in contatto con il corpo, possono provocare danni più o meno visibili. A causarne la propagazione contribuiscono molto le industrie, le auto. In buona sostanza tutte le fonti inquinanti che immettono nell’aria che respiriamo e depositano nei terreni nei quali vengono coltivati i cibi, sostanze dannose per l’uomo – avverte – I sintomi sono alle volte visibili altre subdoli. A livello cutaneo l’allergia al nichel si presenta con eritemi, eruzioni eczematose, pomfi e vescicole in tutto il corpo. Altri sintomi, invece, riguardano l’apparato gastrointestinale (gonfiore e dolori addominali, stipsi o diarrea, disturbi digestivi). Si potranno avvertire, inoltre, stanchezza cronica, dolori articolari e muscolari quasi fosse una fibromialgia. Mal di testa, febbricola. Nei casi più complessi si parla di Snas, Sindrome sistemica da allergia al nichel”.
“Convivere con questa allergia, inizialmente, è molto complicato. Occorre prestare attenzione ai detergenti utilizzati, sia per il corpo che per la casa, al make up, alle stoviglie, agli indumenti e al cibo. Questo ultimo aspetto è particolarmente complicato da gestire, perché la gamma di alimenti poveri di nichel è ridotta al punto da indurre chi è allergico ad abituarsi ad una alimentazione diversa. E apparentemente meno varia. Questo non significa perdere il gusto della buona tavola, ma imparare ad adattare le ricette agli alimenti consentiti”, sottolinea ancora.
“E’ bene ricordare che l’allergia al nichel segue percorsi diversi da quelli dell’allergia ai pollini o agli acari della polvere. Manifesta solitamente i propri effetti con azione immunologica ritardata anche di molte ore rispetto al contatto fisico o alimentare con il metallo allergizzante, ciò che può giustificare una reazione prodotta da un qualche alimento che magari, in un primo momento, si pensava di aver ben tollerato. E’ questa – suggerisce l’immunologo – la ragione per la quale un cioccolatino ingerito oggi potrà sortire i suoi effetti, talvolta anche particolarmente duri, nei giorni successivi. Ciò deve indurre il paziente a seguire sempre scrupolosamente la dieta e lo stile di vita nichel free così da preservare il suo organismo da reazioni successive”.
Ecco cosa evitare. “Tutti gli oggetti contenenti parti metalliche laddove non espressamente indicato ‘nichel tested’. Monete, collane, orologi, anelli, orecchini, piercing, cinture, fibbie, bottoni, parti metalliche di occhiali. E ancora: scarpe, pentole, chiavi. Gli indumenti di colore nero e, come detto, alcuni alimenti. Da evitare cacao, cioccolato, mais, avena, grano saraceno, cereali integrali. Frutta secca, tè, bevande in barattolo, aringhe affumicate, cozze, ostriche, crostacei. Gran parte della frutta tranne gli agrumi, le banane e le mele. Soia, legumi, pomodori, lattuga, cipolle, asparagi, spinaci, funghi, cibi in scatola, margarina”.
Rivolgersi a un immunologo, ingrado di capire immediatamente il problema e intervenire.
Come è meglio dormire

Ognuno di noi ha la sua posizione: di fianco, prono o supino. Qualcuno lo fa pure a testa in giù: ma come è meglio dormire?

La qualità del sonno è importante, per questa ragione sapere come è meglio dormire è assolutamente importante, anche per una buona salute e tanta serenità in famiglia, che se si riposa male, da svegli si sta anche peggio e lo stress aumenta a dismisura.
Alessandro Bettin, osteopata, posturologo e fisioterapista, a La Gazzetta dello Sport spiega come è meglio dormire. “Quando percepisce un impulso doloroso, il corpo è programmato per cambiare naturalmente posizione. Questa continua ricerca incide sulla qualità del sonno e sulla nostra salute, ma non esiste una formula magica per identificare una posizione ideale”, precisa l’esperto. “Una volta stesi a letto la nostra colonna vertebrale dovrebbe mantenere le sue curve fisiologiche minimizzando gli stress meccanici che agiscono su di essa, spesso causa dell’insorgenza di dolore”, continua.
Bettin chiarisce che non esiste una posizione ideale per dormire: ognuno deve adattarsi a seconda della propria necessità: “La sfida è trovare una postura che rispetti la fisiologia della colonna vertebrale senza perdere di vista lo stato di salute e le esigenze delle persone, aspetto che può variare nel tempo”.
Non va bene appisolarsi proni: “Dormire in questa posizione può risultare traumatico per la colonna vertebrale e per il diaframma. In questa posizione la colonna vertebrale non può tenere una posizione ideale. A livello cervicale deve mantenere una rotazione prolungata da un lato, e la compressione esercitata sul diaframma può rendere più difficoltosa la respirazione. Se proprio non si riesce a fare a meno di questa posizione, è consigliato ridurre o eliminare il cuscino sotto la testa e posizionarne uno sotto il bacino per migliorare la fisiologia della colonna vertebrale”.
Stare supini potrebbe essere buono, ma c’è un ma. “Non è indicata alle persone che russano, che soffrono di apnee notturne e di reflusso gastroesofageo. Per queste persone è consigliabile il riposo sul fianco”, dice Bettin.
“Un ulteriore beneficio può essere dato dall’utilizzo di cuscini da posizionare in specifiche parti del corpo. Sotto i piedi e i polpacci per chi soffre di gambe gonfie e pressione bassa. Sotto le ginocchia, o tra le gambe per chi dorme sul fianco, per chi soffre di mal di schiena. Una posizione corretta ci consente di dormire meglio, rispettare le naturali curve della colonna vertebrale. Sono fondamentali materasso e cuscino di buona qualità, che vanno cambiati con regolarità al fine di garantire un supporto soddisfacente. E per rilassarsi, basta un quarto d’ora di stretching prima di andare a letto per distendere i muscoli contratti durante la giornata”, conclude lo specialista.
Consigli riduzione sale

La SINU, Società Italiana di Nutrizione Umana, sottolinea quanto il tanto sale negli alimenti faccia male. La nostra assunzione di sale supera largamente i bisogni fisiologici. L’eccessivo consumo di sale aumenta la pressione arteriosa e, riducendo il consumo, nella maggior parte dei casi, la pressione diminuisce. Un maggior consumo di sale è associato anche a lesioni aterosclerotiche premature e ad un più alto rischio di eventi cardiovascolari, quali infarto cardiaco ed ictus cerebrale. La riduzione della pressione conseguente alla riduzione del consumo di sale è in grado di prevenire un numero sostanziale di eventi cardiovascolari. La moderazione nel consumo di sale sarà tanto più efficace quanto prima viene implementata nella vita di un individuo. Per questo regala consigli pratici per la riduzione di sale. Riguardano sia gli adulti che i bambini.
I consigli per la riduzione del sale allungano la vita e sono semplici da seguire, basta solo un po’ di volontà e volersi bene, seguendo sempre, come già sottolineato in altri post, la dieta mediterranea, forte di prevenzione anche del tumore.
Ecco i consigli per la riduzione del sale.
- Acquisire consapevolezza del proprio consumo abituale di sale (eventualmente attraverso la misura dell’escrezione di sodio in una raccolta delle urine delle 24 ore) e realizzare il divario tra il proprio livello di assunzione e quello raccomandato (<5g al giorno complessivamente).
- Valutare quanta parte del proprio consumo di sale è dovuta al sale aggiunto in cucina e a tavola e quanta dipende, invece, dal contenuto di sale dei prodotti che acquistiamo o che consumiamo fuori casa (pane, pizza, taralli, crackers, grissini, formaggi, salumi, prodotti in scatola o in vetro, piatti pronti).
- Impegnarsi a ridurre sia il sale di uso domestico, sia quello nei prodotti acquistati o consumati fuori casa, leggendo sistematicamente l’etichetta al momento dell’acquisto e raccomandandosi di aggiungere poco sale al ristorante.
- Non aggiungere sale negli alimenti dei bambini e limitarne al massimo l’uso per tutta la famiglia.
- Limitare l’uso di condimenti alternativi contenenti sodio (dado da brodo, ketchup, salsa di soia, senape, ecc.).
- Insaporire i cibi con erbe aromatiche (come aglio, cipolla, basilico, prezzemolo, rosmarino, salvia, menta, origano, maggiorana, sedano, porro, timo, semi di finocchio) e spezie (come pepe, peperoncino, noce moscata, zafferano, curry).
- Esaltare il sapore dei cibi usando succo di limone e aceto (ad es. nelle insalate).
- Consumare solo eccezionalmente alimenti trasformati ricchi di sale (snack salati, patatine in sacchetto, olive da tavola, acciughe salate, alcuni salumi e formaggi).
- Nell’attività sportiva moderata reintegrare con la semplice acqua i liquidi perduti attraverso la sudorazione.
Meno sale per tutti

Meno sale per tutti, la riduzione del consumo potrebbe prevenire oltre 2 milioni di morti premature. Lo sottolinea a gran voce la SINU, che si impegna su questo fronte in Italia.
Meno sale per tutti con la dieta mediterranea. Dal 13 al 19 maggio si svolgerà in tutti i Paesi la Settimana Mondiale per la Riduzione del Consumo di Sale, lanciata dal WASSH – World Action on Salt, Sugar and Health. Come sempre, la Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) collabora con WASSH, coordinando per l’Italia la campagna, che sottolinea quest’anno il valore della Dieta Mediterranea nel facilitare la riduzione del consumo di sale.

L’eccesso di sale nella dieta, che inizia spesso già dallo svezzamento, è particolarmente dannoso in quanto induce un progressivo aumento della pressione arteriosa già dai primi anni di vita e favorisce lo sviluppo di ipertensione in età adulta. Uno studio recente ha anche evidenziato una correlazione tra l’abuso di sale e lesioni vascolari precoci predisponenti all’infarto cardiaco e all’ictus cerebrale.
L’eccessiva quantità di sale presente nell’alimentazione abituale degli adulti e dei bambini e adolescenti italiani è stata ampiamente documentata dagli studi componenti il programma MINISAL. Questi studi hanno evidenziato anche la frequente associazione tra abuso di sale, obesità e aumento dei valori pressori, dovuta al fatto che un’alimentazione ricca di sale dipende in buona parte dal consumo di prodotti trasformati ricchi di sale aggiunto e ipercalorici che, stimolando, tra l’altro, il senso della sete, inducono, specialmente gli adolescenti, al consumo di bevande zuccherate, a loro volta ipercaloriche.
Gli studi epidemiologici condotti in circa 200 Paesi in tutti i continenti hanno segnalato l’abuso di sale come l’errore alimentare maggiormente responsabile di morti premature e disabilità correlata allo sviluppo di malattie croniche non trasmissibili. A livello globale, sarebbe possibile prevenire oltre due milioni e mezzo di morti premature, attraverso la riduzione del consumo di sale a meno di 5 grammi al giorno, tra quello già presente negli alimenti e quello aggiunto, secondo le indicazioni dell’OMS.
La principale fonte di assunzione del sodio nella dieta italiana è data dal cloruro di sodio (sale), aggiunto nei prodotti trasformati di tipo artigianale, industriale o della ristorazione collettiva (almeno il 50% dell’assunzione totale) e poi da quello aggiunto in cucina e/o a tavola (circa il 35%). I cereali e derivati, in primo luogo pane, pizza e altri prodotti da forno, rappresentano una delle fonti più rilevanti di sodio aggiunto nei prodotti trasformati. Elevate quote derivano anche dai gruppi carne/uova/pesce (31%) e latte e derivati (21%), sempre a causa del sale aggiunto rispettivamente nelle carni e nei prodotti del mare conservati e ancor più nei formaggi.
Il contenuto di sale della frutta, della verdura e in generale degli ortaggi freschi è, invece, molto basso.
“Una dieta ricca di frutta, verdura e legumi freschi, su cui si basa il modello della dieta Mediterranea, implica un minor consumo complessivo di sale, a patto di evitare il consumo frequente di formaggi stagionati e di insaccati, così come di carne, pesce e altri alimenti in scatola contenenti sale aggiunto”, spiega il Prof. Strazzullo, coordinatore del Gruppo di Lavoro Meno Sale Più Salute della SINU. “È, inoltre, molto importante consumare pane povero di sale, facendo attenzione a quanto riportato sull’etichetta, non aggiungere sale a tavola e contenerne al massimo l’uso in cucina, preferendo in ogni caso il sale iodato”.
L’impegno individuale deve essere accompagnato da una strategia globale che richiede, a livello nazionale e internazionale, la collaborazione dell’industria alimentare e la sensibilizzazione della popolazione attraverso campagne pubblicitarie.
È necessario che i produttori di alimenti trasformati riducano il contenuto di sodio dei loro prodotti, seguendo le ripetute indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e indichino, in modo chiaro, sulle etichette nutrizionali, se il prodotto è a più basso o più alto contenuto di sodio.
Questa strategia è già stata applicata e ha prodotto iniziali risultati tangibili in numerosi Paesi, ma deve essere opportunamente coniugata con la lotta contro l’obesità infantile, l’abuso di zuccheri e bevande zuccherate e l’improprio consumo di alcol, secondo lo spirito del programma Guadagnare Salute, promosso dal Ministero della Salute nel 2007 e tuttora operativo.
Nella SINU è attivo il Gruppo di Lavoro Meno Sale Più Salute costituito nel 2007, in partnership con altre società scientifiche nazionali. La sua attività principale è quella di divulgazione delle conoscenze alla base del richiamo alla riduzione del consumo di sale e di advocacy in tutte le sedi opportune in favore delle misure che possano favorire il conseguimento di quest’obiettivo. Meno sale per tutti, adulti e bambini: ricordatelo.
Streptococco bambini: boom di casi

Per i bambini nati nell’era Covid è boom di casi di Streptococco. Si registra un picco di contagi. Uno studio condotto all’Università Cattolica – IRCSS Fondazione Policlinico Gemelli e pubblicato su Lancet Microbe fotografa questa situazione del 2023 passato.

Sul boom di casi di Streptococco per i bambini nati nell’era Covid si crede siano causati a un debito immunitario legato proprio alle protezioni usate durante la pandemia. “Tra 2020 e 2022 – spiega Maurizio Sanguinetti, ordinario di Microbiologia alla Cattolica – abbiamo osservato una significativa riduzione di infezioni da Streptococco, sia in termini di quantità dei campioni pervenuti (per un ridotto accesso), sia una significativa riduzione percentuale dei positivi. Le misure di protezione non farmacologiche, come la mascherina in quegli anni hanno ridotto il contatto con il microrganismo e l’infezione”.
Ora però c’è il boom di casi di Streptococco tra i bambini. Il direttore del Dipartimento Scienze di Laboratorio e infettivologiche, che ha coordinato lo studio insieme a Chiaretti, spiega: “Il sospetto è che i bambini, essendo stati protetti in modo importante durante il Covid, non abbiano sviluppato la normale immunità parzialmente protettiva nei confronti dell’infezione”.
“Il contatto coi microrganismi – sottolinea Sanguinetti – è fondamentale per ‘allenare’ il sistema immunitario a rispondere alle infezioni. L’ipotesi è dunque che il ridotto contatto con questo microrganismo, abbia determinato nei bambini più piccoli un ‘debito immunologico’. Impedendo loro di sviluppare una protezione, anche parziale e questo ha comportato un aumento dei casi. Lo studio mette in luce anche un altro problema. Se un bambino è fortemente sintomatico (febbre alta, tonsille aumentate di volume e infiammate) è opportuno non basarsi solo sul fai-da-te del test rapido. Acquistato in farmacia. Solo un tampone faringo-tonsillare effettuato in laboratorio, seguito da esame colturale (e da un eventuale saggio in vitro di sensibilità ai farmaci, cioè un antibiogramma) permette di caratterizzare il microrganismo. Con ricadute sia diagnostiche sia epidemiologiche per valutare l’eventuale circolazione di ceppi iper-virulenti”.
Tendinite di De Quervain

La tendinite di De Quervain è una delle patologie che compisce le neo mamme. Che cos’è? E” un’infiammazione dell’abduttore lungo e dell’estensore breve, due tendini del polso che passano attraverso il canale di De Quervain e permettono l’apertura e parte dell’estensione del pollice.

La tendinite di De Quervain viene soprannominata pure “malattia delle mamme e delle nonne”, dato che il movimento che causa l’infiammazione, ossia il movimento che mette in tensione l’abduttore lungo e l’estensore breve, è quello che solitamente compie ogni donna nel momento in cui solleva un neonato.
Nella malattia delle mamme e delle nonne il fastidio si manifesta quando i due tendini si infiammano e, dato che aumentano di volume sfregano, contro il canale in cui passano. Il dolore nella zona del polso o nei movimenti di apertura del pollice è inevitabile. E si localizza a livello del polso. Chiaramente è maggiore in caso di estensione o di flessione forzata del pollice e del polso.
“La cura può prevedere l’utilizzo di un tutore confezionato su misura e da indossare solo durante la notte. Se, però, la patologia peggiora, per esempio a causa di un mancato trattamento iniziale, diventa necessario ricorrere all’intervento chirurgico – si legge su Humatitas – L’intervento chirurgico per la tendinite di De Quervain è mini-invasivo, viene effettuato in anestesia locale e ha una durata molto breve, di poco più di cinque minuti. Il paziente, a seguito dell’operazione, è libero di riprendere fin da subito tutte le attività, senza che sia necessario immobilizzare mano e polso”.